martedì 28 novembre 2017

Non siamo soli


Noi, qui, allo Z.N.K.R., osiamo fare un passo oltre la mente, oltre le convenzioni, oltre le banalità di un insegnamento dogmatico e la superficialità di una pratica grossolana.

Sappiamo di godere di un metodo che permette di pensare la complessità del reale, invece di ridurre la realtà negli angusti confini di ciò che già sappiamo, ciò che ci rassicura.

Varcare i confini dell’ovvio, di una mente ordinaria, di un sapere goffo e semplicistico, è l’arma vincente in qualsiasi campo, pratica marziale compresa.

Chi non lo fa, resta stretto nei confini dettati dalla paura, dal sapore confortante dell’ovvio, dell’ordinario, dell’accettato e condiviso dalla massa; resta in una zona dove si illude di controllare la realtà, mentre questa è ben altro e si trasforma senza che lui se ne accorga o mentre lui finge di non accorgersene.

Andare oltre le convinzioni comunemente accettate, oltre la “mente comune”,
   è una scelta di autentica ribellione.
Significa abbracciare il mondo delle emozioni, il pensiero intuitivo, il fisicoemotivo come terreno di pratica olistica, onnicomprensiva.

Significa abbracciare il sapere immaginifico, agganciare immagini per addentrarci in un percorso che si vada ad esplicare nella realtà dei sensi, consolidandosi e forse perdendo la viva idea di partenza per trasformarsi in altro, in prassi trasformatrice.

Una certa parte di saperi, di pratiche, di “mondo”, ha preso da tempo questa direzione: alcuni procedono rapidamente e divengono guide creative riconosciute nel loro ambiente e non solo; altri procedono più lentamente, meno esposti e perciò meno conosciuti, ma anche loro contribuiscono a lanciare frecce di pratiche e di sapere antagonista, persino alternativo, al monotono vociare uniforme delle amebe.

E lo sappiamo che noi, allo Z.N.K.R. non siamo soli.

Andate a guardare su You Tube le performance di Daniela Lucangeli (grazie, Monica, per avermela fatta conoscere) e rimarrete esterrefatti, là dove psicologia e neuroscienze si incontrano per offrire un panorama sull’apprendimento autenticamente innovativo.

Guardate qua, questo breve video
e scopri un percorso didattico straordinario, che tanto odora anche di Z.N.K.R.
Ed io non posso che ringraziare il Maestro Aleksandar Trickovic, per la strada che, ormai più di sette anni or sono, mi ha aperto: un’ulteriore svolta lungo il mio percorso marziale, iniziato nel lontano 1976; una svolta sul terreno della pratica corporea che io ho agganciato alle mie conoscenze e pratiche di aiuto e guida alla crescita individuale forgiando un metodo, un fare, una formazione al confliggere, una terapia di crescita per l’individuo, del tutto unica in Italia, che fa dello Z.N.K.R. una Scuola del tutto unica in Italia.

Sì, davvero non siamo soli.

Noi, Z.N.K.R. “Spirito Ribelle, siamo una forza selvatica ed intuitiva

Selvatica, perché il suo sapere è quello dell’istinto; delle pulsioni ri - conosciute, mai negate ma sapientemente gestite; del dono di sé a chi ci sta accanto ed alla comunità.

Intuitiva, perché con Albert Einstein sosteniamo che “La mente intuitiva è un regalo sacro e la mente razionale è un servitore fedele. Noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il regalo”. Infatti l’intelligenza intuitiva è lasciare emergere a livello cosciente tutto ciò che sappiamo già, al fine di risolvere un conflitto e prendere delle decisioni rapidamente. Non si tratta di ragionare, ma di saper ascoltare il nostro inconscio e le nostre emozioni.

Per questo praticare le Arti Marziali come noi facciamo allo Z.N.K.R. è un percorso non riconducibile alle logiche di potere delle organizzazioni quanto piuttosto è un rifarsi alle piccole e vivaci Scuole della Tradizione, al concetto di tribù; è un percorso non manipolabile, non strumentalizzabile: o ci stai dentro o altrimenti vieni risucchiato dall’omofonia, dal conformismo dominante tra dissennati sforzi fisici e gestualità rozze e confuse o elaborate seghe mentali sorrette da deboli e pavide ginnastiche.

Ribellarsi cambia radicalmente le tue condizioni di vita e cambia il tuo mondo.

Qui, da noi, allo Z.N.K.R., ribollono quant’anni di esperienza nel campo delle pratiche corporee e marziali innestate su un mio personale percorso di vita di strada, di autentica formazione al confliggere di strada (1); convivono pratiche e studi di aiuto al “cliente” sviluppate in un preciso corso di studi che mi ha visto specializzarmi ormai oltre un decennio fa e cimentarmi poi con decine e decine di persone; si intrecciano esperienze di stati di coscienza espansa, suggestioni immaginative, scoperte fisicoemotive e relazionali.

Il nostro “spirito Ribelle” è per autentici protagonisti, autentici eretici cercatori di sé e del proprio potere nel mondo, non per passivi replicanti di idee e pratiche di altri.

Il nostro “Spirito Ribelle” è per il praticante coraggioso e creativo, appassionato in tutto ciò fa e in tutto ciò che fa orgoglioso di dare il meglio, di dare il massimo, perché sa che tutto ciò che fa, in ogni momento della sua giornata, porta sempre la sua firma; per il praticante per il quale è imperativo “mai eccedere”, in un difficile equilibrio taoista privo di sforzo testardo perché è proprio lo sforzo che ripete e ripropone gli antichi legami impedendo il nascere di nuovi orizzonti, di andare oltre il comune sentire.

Questo “Spirito Ribelle” ti entrerà dentro, sarà tuo e ti sposterà da dove ti trovi….

 

(1) Che un conto è “tirare” in palestra, in un ambiente protetto, un altro è battersi per strada. Tolti pochi casi eccezionali, individui che nascono” combattenti”, ritengo ci siano solo due altri modi per imparare a cimentarsi nel combattimento.
Uno è formarsi nella delinquenza o, di contro, nelle forze dell’ordine. L’altro è formarsi nell’estremismo politico o sportivo; in quelle “formazioni” che, a mani nude o con spranghe e coltelli, si scontrano nelle strade senza arbitri e allenatori e regole e strette di mano e uno di fronte all’altro e parità di peso e poi tutti insieme in doccia, evviva!! No, questi estremisti della politica, questi ultras dello sport, “combattono” davvero, per davvero farsi male fino anche ad uccidere. Che piaccia o no, questi sì che si formano a combattere.
La mia formazione “combattente”, dopo alcuni anni di semplice teppismo di strada, avvenne così. Chi non abbia vissuto gli anni del ’68, può farsene un’idea leggendo l’intenso “La banda Bellini”, scritto dal giornalista Marco Philopat insieme ad Andrea Bellini, il capo del “Casoretto”; oppure “Katanga che sorpresa” (grazie Lorenzo per il bel regalo), scritto di suo pugno da Mario “manina” Martucci, il capo dell’omonimo servizio d’ordine del Movimento studentesco, libro sicuramente meno appassionante ma è certo uno … spasso (?!) per chi come me li conobbe, vedere l’evoluzione di alcuni di quei protagonisti: il gran capo di “Servire il Popolo”, passato dall’ideologia maoista al servizio di padron Berlusconi, il duro sprangatore ora divenuto innocente salvatore di feriti di ogni campo, e tanti altri ancora.




mercoledì 15 novembre 2017

Una strada che abbia un cuore, per uomini veri



Giorni addietro, uno scambio epistolare con un professionista della psiche.
Questi vuole iniziare una pratica marziale, ritenendola pratica in grado di fargli conoscere ed esplorare il “pieno potere del mio corpo”, “la capacità di combattere”; vorrebbe “esplorare a piena potenza me stesso per non frenare temendo esplosioni incontrollate”, chiarisce che “il mio obiettivo non è imparare a ‘spaccare tutto’ ma conoscere meglio me stesso”.

Ecco, di seguito, la mia risposta.

 
Credo che tu abbia colto nel segno: ciò che cerchi è l’essenza di una sana pratica marziale.
Purtroppo le Arti Marziali comunemente intese e praticate, tradiscono questo cuore e lo fanno in molti modi.

Chi crede che basti praticare forme e fondamentali e combattimento per diventare forte e saggio. (in virtù di che?)

Chi punta tutto sullo sforzo fisico e sullo scazzottarsi come valvola di sfogo.

Chi vuole solo sentir parlare di coppe e trofei

Chi teorizza di energia e potenza senza mai aver sudato o preso e dato sberle in faccia.

Il modo di muoversi corpo, passa da una mollezza indecente ad una rigidità pinocchiesca o ad una feroce esposizione muscolare.

L’insegnamento è sempre direttivo, imitativo, mai facendo del praticante un protagonista quanto piuttosto un passivo ripetitore: c’è lo stile da imparare, la mossa da copiare, la tecnica da ripetere all’infinito.

Scoprire ed esplorare il proprio potere personale che c’azzecca con tutto ciò?

Combattere non è una finzione da palestra, con regole e comandi e poi tutti a farsi una doccia, né è uno sport; combattere è simulare stati emotivi e tensioni fisicoemotive profonde, perturbanti, in situazioni certo “protette” ma, appunto, di totale simulazione, non di finzione o di divertimento o di cieco sfogatoio.
Combattere è imparare l’arte del confliggere che “Lottiamo tutti. Da quando nasciamo, combattiamo per respirare, aprire gli occhi, camminare, parlare” scriveva Ken Buchanan, pugile, campione del mondo dei pesi leggeri negli anni ’70.

Dunque, il cuore delle Arti Marziali, come, se ho ben capito, tu intendi ed io condivido, è una terapia pulsante perché la capacità di stare nei conflitti, di scoprire e gestire tutto il proprio potere corporeo, pulsioni profonde e magari inconfessate, l’individuo la sappia trasferire in ogni occasione, in ogni relazione del vivere quotidiano, in famiglia, con gli amici, al lavoro.

Purtroppo, tale “cuore” non è la merce cercata nella nostra attuale società, quella del consumo senza uso, dello sfoggio estetico muscolare o intellettuale.
Dunque, nella logica della domanda / offerta, le Scuole che si occupano di “cuore”, di Strade che abbiano un cuore, sono poche, pochissime e sovente hanno vita breve. Nessuna, che io conosca, sta a omissis

Allora, per restare nella tua città, mi permetto di invitarti a cerca una palestra di pugilato: forse la semplicità di questo sport, l’essere ai confini della moda, ti permetterà di trovare un ambiente che in qualcosa sia affine a ciò che tu cerchi.

Oppure in una palestra di Yoseikan Budo (omissis) puoi trovare dinamismo corporeo ed un’attività fresca e pimpante con ancora qualche retaggio della Tradizione, di quel “Budo” che anticamente significò un modo “guerriero” (chi stava, eccome, nei conflitti) di stare al mondo. Non ricordo (e magari non è più lo stesso) chi sia l’insegnante ma, i primi di Dicembre, verrà in Italia il caposcuola, il Maestro Mochizuki Hiroo per un seminario rivolto ad insegnanti e maestri: se l’ingresso fosse aperto agli spettatori, potresti farti un’idea alla fonte, anche se ormai la docenza, in gran parte, lui l’ha passata al figlio.

Confido di esserti stato utile e, se ti andasse, fammi sapere che strada eventualmente tu hai preso.

(omissis)


venerdì 10 novembre 2017

La corazzata Potemkin non è una cagata pazzesca



Serata simil teatrale, a “Il cielo sotto Milano”, dove opera la compagnia “Dual Band”.

Serata dedicata al centenario della Rivoluzione d’Ottobre, meglio presentata come
La corazzata Potemkin non è una cagata pazzesca”,
in un evidente rimando al cinema fantozziano.

Serata con in scena il confronto, che è prima di tutto generazionale, tra la russista Milli Martinelli, donna quasi centenaria, saggista e traduttrice di opere di Turgenev, Tolstoj, Bulgakov, e lo studente tredicenne Lupo Kriss Santambrogio, che è pure mio figlio.
Con loro, in vesti diverse, la Dual Band stessa ed alcuni collaboratori, e, di sottofondo, la pellicola di Ejzenstejn.

E già portare ad un adolescente, a tutti gli adolescenti, il messaggio, e quale messaggio? di un evento così complesso e davvero rivoluzionario, pare cosa improba.

Perché come si può descrivere il cuore, di più, cosa è rimasto del cuore di quell’evento, ai giorni nostri? Ma anche come è possibile, sempre che possibile lo sia, coinvolgere giovani e giovanissimi, i nostri giovani e giovanissimi, perché prestino un’attenzione non puramente intellettuale o, peggio, limitatamente scolastica, ad un evento così terribile e sconvolgente?

C’è chi ha scritto di “comunismo interiore”, che per me significa coltivare dentro il cuore, dentro la pancia, quegli ideali di libertà e comunione, e manifestarli, nel mio piccolo, con le relazioni e le modificazioni dell’ambiente a me più vicino: Quello che è stato, per oltre trent’anni, lo ZNKR di via Simone D’Orsenigo, autentico Dojo di tutti, autentica casa di tutti.

Ma resta il dilemma “Che c’entra, che c’azzecca con i giovani d’oggi?”.

La società del consumo senza uso, dell’apparire sfrenato, della perdita del senso di collettività; questa società di non personalità, di fragilità psicosomatica rimpiazzata da una trasformazione camaleontica, con la quale plagiare i tratti senzienti attraverso irrazionali adesioni alle migliaia di slogan introdotti negli encefali imbelli di una società di pavidi.
Dove quel poco di collettivo rimasto è tutto virtuale: sono gli hashtag pro o contro quello e le pagine fb.
Sono quegli assembramenti improvvisi, ma fa più “tendenza” chiamarli flashmob, dai pallidi tratti umanitari, pacifisti, tanto simili al segno di pace scambiato al termine della messa, usciti dalla quale, ognuno torna al suo privato. Sorta di “sintonia feticcia e sincronica” ho letto giorni or sono a firma “Il Poliscriba”, per un arco di tempo talmente breve che la comprensione tra umani nemmeno viene presa in considerazione, passando invece sotto l’arco di trionfo del: “Quel giorno ero Charlie, Pinco, Pallo e ogni indignazione possibile/fruibile e, soprattutto, io c’ero”.

Se le rivoluzioni efficaci stravolgono il quotidiano, virano su idee nuove per dare risposte ai bisogni dell’uomo, cosa è rimasto, se è rimasto, della rivoluzione d’Ottobre?

La serata, pur con qualche caduta di ritmo, scorre densa ed interessante. Le immagini, le poesie lette, gli interventi tutti, concorrono, pur nel pugno d’ore concesso, a rendere interessante la scoperta e riscoperta dell’evento, a darne un affresco dalle tinte forti.
Ma a me resta quel dilemma, quel senso di continuità che non riesco a trovare.

Per me fu più facile, quasi naturale, con i moti del ’68, ed i libri e le assemblee ed i pestaggi a spranghe e coltelli e le cariche della polizia e gli ideali vissuti al massimo, trovare, vivere, un naturale, sfrontato e certo ingenuo continuum.
Per altri, negli anni a venire, per i giovani a venire, la Rivoluzione d’Ottobre fu solo un goffo treno di immagini, nemmeno così impressionanti che già iniziavano a sbiadire, con tanti convogli di parole, frasi, slogan, libri adocchiati solo nei titoli.

Ma ora, ai ragazzi nati nell’ultima decade del duemila, a quelli che sono giovani adesso, che siamo al terzo millennio, e saranno uomini adulti tra altri dieci anni, come faremo a spiegare che no, la corazzata Potemkin non è una cagata pazzesca? Di più, ci permetteranno mai di spiegarglielo loro così proiettati in un futuro totalmente diverso, estraneo al ventesimo secolo?

Probabilmente la Rivoluzione d’Ottobre finirà nel dimenticatoio, finirà ancorata solo nei libri di scuola, come l’impero romano ed il Risorgimento, pagine di nomi ed eventi senza alcuna anima, alcun cuore.
Probabilmente la mia generazione è l’ultima a tessere, dentro e fuori, di comunismo ed anarchia e socialismo, tessere dentro il cuore, privatamente e, perdinci, pure inutilmente, pure da sconfitti.

Si chiude la serata, Lupo è stracontento.
I suoi occhi chiari che sorridono sono l’epilogo migliore, almeno per me.



 

venerdì 3 novembre 2017

Ombre che danzano



Tu non segui l’esempio, sii tu stesso l’esempio”. Queste parole sono scolpite indelebili nel mio modo di proporre la pratica marziale, a comunicare all’allievo di dimenticare chi sia per lui testimone a cui rimettersi per essere invece lui stesso attore e testimone di quel che fa, del clima culturale che lui stesso va contribuendo a costruire in Dojo, attore e insieme testimone, in un processo di relazione e relazioni che travalica il luogo “Dojo” e la stretta pratica marziale, della società e dell’epoca in cui è calato.

So che insieme, io lui, il gruppo tutto dei praticanti che mi circonda, stiamo costruendo un sogno, non credendo a nessun altro e con la convinzione di demolire tutte le mura issate attorno.
Nulla, stereotipi “marziali”, paccottiglia diffusa ovunque a piene mani da macho men dallo sguardo truce o simil soldatini in divisa acquistata al mercatino dietro l’angolo (e la giovane età testimonia che nemmeno la naja, l’obbligo di leva, hanno assolto), o da efebici intellettuali del verbo mistico a cui mai una goccia di sudore o un paio di sberle sul muso hanno fatto visita, offusca il nostro incedere.

Noi sappiamo che gli uomini sono prima emozione, poi pensiero e solo dopo logica riflessione.
Quando siamo faccia a faccia, in un reciproco guardarsi attento, a tentar di capire se stiamo andando “a male” o, come sembra, stiamo rivoltandoci dentro, respirando in altri mondi, sguazzando di calci e pugni in altri mondi. Mondi che poi siamo ancora noi, noi dentro.
Perché, quando siamo faccia a faccia, stiamo vivendo in questi altri nostri, personali, mondi.

A volte, sono strappi di adrenalina, altre, sono melodie cinetiche, altre ancora sovviene la tentazione di volgere lo sguardo, e non solo quello fisico, verso il basso e tornarsene fra “nani e ballerine”.
Il freddo che sta fuori, sappiamo non ci sarà dentro, nemmeno l’appiccicoso buonismo per cui un “No” debba sempre essere educato, persino esitante, ma nemmeno il “va ffa…” sbraitato per ignoranza codarda.
Solo, tentiamo di non negarci al sogno, coltivandolo ed accudendolo perché, fuori di qui, fuori dalla metafora del dojo e del lottare, non svanisca, piuttosto intendendolo vivere ad occhi aperti, a cuore aperto.

Serenamente coraggiosi, siamo.

E ci chiediamo adesso, qui ed ora, dove siamo, cosa stiamo facendo, come faremo a capirlo, se divelliamo ogni indicatore di direzione, ogni obbligo di direzione.
Allora, ombre nere sguscianti a tracciare macchie indistinte contro questi muri così bianchi, bianchissimi, almeno per quel pugno di ore, non siamo più, non siamo mai, spettatori esterni, ma siamo insieme l’opera e chi l’opera va edificando.

Fuori di qui, tra le vie di Milano e altrove, il mondo altro non si è mai fermato, il consumo senza uso e i battaglioni di amebe la fanno da padroni.
Noi qui ci siamo vestiti di sangue e sudore, di ferocia ed amore, di fragile forza umana, di sorrisi e incessante ricerca interiore Se poi sarà stato solo un breve delirio, una fuga in avanti simile a “mosca cocchiera”, o se invece antichi valori inizieranno a ri – costruirsi dentro ognuno di noi per essere portatori sani di un mondo diverso fuori, allora nessun tempo, nessuna energia, sarà stata spesa invano.

Vittoria o sconfitta non importa, l’etica del Bushido ci impone la nobiltà nella sconfitta stessa, se la battaglia l’abbiamo ingaggiata.