lunedì 29 maggio 2017

Formazione ed sami Kenpo Taiki Ken. 27 Maggio





Liberi, divertìti e liberi; consapevoli e liberi. Insieme.
Proponiamo, in queste tre ore di formazione Kenpo Taiki Ken, un breve ma intenso viaggio in cui siano le mani, il bacino, i sorrisi sul volto, a parlare.

“Gli animali ci aiutano a ristabilire quell’immediato contatto con la sapiente realtà della natura
che è andato perduto per l’uomo civilizzato”
(Konrad Lorenz)

Allora che sia sequenza degli animali, in un trasfigurarsi che ci porta dall’immobilità al nuotare, dallo strisciare alla quadrupedia, fino alla stazione eretta, fugace sbirciare tra le impossibili libertà, ancora libertà, di un volo nel cielo.
Diventa più semplice sorridere al compagno, al gruppo, senza chiedere quanto durerà, senza pretendere una risposta che sia come vogliamo noi.

Tanto basta, ed è credo bello per ogni genitore presente, vedere il figlio agire.
Sarebbe ancor più bello, persino intrigante, se il genitore praticasse nel gruppo, a vedere il mondo, questa piccola parte di mondo, di più, a modificare il mondo, questa piccola parte del mondo, con gli occhi, con le mani ed il cuore, del proprio figlio. Insieme a fare, insieme ad imparare dal proprio figlio per un pugno di ore insieme. Purtroppo, solo bambini e ragazzi nel gruppo, con gli adulti dello Z.N.K.R. I genitori tutt’intorno, a guardare.

Ridere, ci sorprendiamo a ridere, vedendo identica risata sul volto di chi ci sta accanto, senza alcun obbligo di decidere se non quello di flettersi e poi rialzarsi, così, spontaneamente

“Gli uomini devono imparare quello che una foglia e una balena e il vento fanno naturalmente. Dipende da noi mantenere l'equilibrio”
(Haitaka)

Equilibrio che non è mai solo fisico, meccanico, ma sempre fisicoemotivo, di emozioni nel cuore e pulsioni nel ventre.
A volte credi d’aver trovato un equilibrio perfetto poi qualcuno non ci sta e decide di metterti alla prova e tu cedi, rimbalzi, ostruisci, ti afflosci, faticosamente risali: alla faccia delle certezze!!
E scopri che proprio sull’orlo del precipizio, della caduta più rovinosa, l’equilibrio è tale da darti piacere, da indurti a capire di te e di come stai

Poi, il percorso flessibile, quello che accoglie e scivola e si ripresenta alla ribalta …

“Il modo in cui le persone si muovono è la loro autobiografia in movimento.”
(Gerry Spence)

C’è qualcosa di selvaggio che danza dentro di noi, c’è una sottile striscia di bambù che invita a flettersi e schivare e poi rientrare colpendo.
C’è un fare marziale, un fare Kenpo Taiki Ken che ti mostra il qui ed ora, nei locali del dojo come fuori, nella vita di tutti i giorni. Accoglienza e vulnerabilità come forza impetuosa che sa accogliere dove vuole e respingere dove vuole. Senza farsi travolgere ed invadere, senza erigere steccati. Solo consapevolezza sensomotoria, stato fisicoemotivo attento ed espanso, che sono io a decidere se, quando e come farti entrare, sono io a condurre le danze.
Danze di pugni e di lotta, di corpo a corpo. Danze di virile confronto tra giovani e giovanissimi che studiano e praticano per diventare adulti ai giardini di largo Marinai d’Italia.

Il tramonto, il saluto, la consegna delle cinture. Un piccolo rinfresco, che tanto è stato il sudore versato, la fatica versata.

Alla prossima, se vorremo che ci sia una prossima

 











 

lunedì 15 maggio 2017

Bishamonten Maggio 2017



Sabato 13

 
Capita, a volte, di avere un mondo intero nel cuore e non conoscerlo, tanto meno mostrarlo agli altri, con le parole.
Allora mi domando come e poi faccio finta di niente, come se il cuore fosse solo un battere ritmico, come se il tempo passato e quello futuro non danzassero mai per me e per chi mi sta accanto.
Succede di giorno, succede di notte, mai solo e sempre immerso nei sogni miei, sogni che parlano anche di altri.
Però credo che il mio cuore, ogni cuore, debba danzare all’aperto, legando in un unico filo sottile tutto ciò che sta fermo, tutto ciò che si muove. E lo faccio col corpo, che è insieme cuore e respiro, cuore e pancia, cuore e pensiero, cuore e …

Lo faccio anche oggi, al terzo appuntamento Bishamonten. Lo faccio mostrando e lasciando annusare gli odori ed i ritmi di un’avventura di vita, sempre più grande di ognuno di noi.
Perché le tracce degli animali, dall’inizio della stella marina che annaspa e va oltre, sirena e delfino, e poi felino e via, di fiera in fiera, fino al bipede che siamo noi, ci sono rimaste dentro.
Sono rimaste, a volte sopite a volte sfuggenti, a volte legate alla catena a volte in “libera uscita”.
Quelle tracce rimaste che ci parlano di noi e delle nostre pulsioni, delle nostre passioni. Dei fantasmi e delle ombre, ma anche dei desideri di volo e di libertà assoluta.
Ci scopriamo sorridenti, felici con poco, forse tornati bambini a giocare con l’animale che ci rappresenta, con cui, qui, in un luogo sicuro, in un gruppo sicuro, possiamo tornare a dialogare.

Ed è il tempo della gru, del volo, della leggerezza e dell’equilibrio. E’ tempo di viversi gru, oltre il timore di abbandonarsi e di essere fragile, di associare cedevolezza a sottomissione, di difendersi sempre, sempre sulla difensiva. E’ tempo di sentire e superare la spasticità nei muscoli estensori e flessori.

Poi “Floating Bridge”, interpretato tanto lentamente quanto fluido e scorrevole nel variare d’altezza e distanza; un tocco pressante che sfiora e non dimentica, che accompagna senza interferire.
Un silenzio sottile tra i rumori dei corpi che attraversano il luogo, i respiri che rimbalzano contro. Il confine della pelle, della stoffa è zona di contatto, luogo di domande: “Cosa mi aspetto da te?”, “Cosa ti aspetti da me?” Quando invece l’unica domanda possibile è “Cosa sta succedendo tra di noi?”. L’unica in grado di condurci a risposte conflittuali anche, ma chiare, distinte, intellegibili. Chissà se tra uno sbuffo, un’imprecazione ed una risata, qualcosa del nostro vivere quotidiano tra rapporti di coppia e di lavoro e familiari ci è balzato in gola a ricordarci che qui, in Dojo, è la pratica del fuori che si rappresenta, che ci rappresenta.

Ora, il gioco che ti porta immobile, ti fa lentamente sparire, oscillare, flettere e rientrare.
Che sia con l’ostacolo di una pallina da tennis o perché la regola richiede di restringere la base, comunque sempre incerta, quasi fragile.
Ma la nostra pratica Kenpo Taiki Ken ci mostra la risposta forte e potente della vulnerabilità, della fragilità che si fa decisa e impetuosa. A scoprire che nella vulnerabilità, nella fragilità, si celano valori di sensibilità e delicatezza e fiera dignità; di intuizione dei segreti e dell’invisibile che sono nella vita e che permettono di entrare in empatia e persino simpatia negli stati d’animo e nelle emozioni, di chi è altro da noi.
Certo, all’accettazione e conoscenza della propria vulnerabilità, si giunge solo lungo il cammino che porta alla nostra interiorità e che costa fatica seguire, perché mostra le nostre paure e con esse le nostre speranze cadute nel vuoto, dalle quali è più comodo allontanarsi o negarle, vivendo come se non fossero in noi.
Così, una fragilità, una vulnerabilità, che diviene flessibilità, a capire, interpretare il ritmo della danza, dello scontro di coppia … che qui, in Dojo, è la pratica del fuori che si rappresenta, che ci rappresenta.
Che sia colpirsi o squilibrarsi, spingere o tirare, che siano pugni, gomitate, calci, leve articolari e proiezioni e “Grazie per avermi fatto del male. Non lo dimenticherò”. Lascerò che scorra nelle vene, che batta forte dentro il cuore, a sentire che sono vivo e sempre, daccapo, posso ricominciare, posso mutare la rotta di questa mia vita, fragile e incerta, che il Tempo Maggiore sa già quando tagliare, e che io non posso lasciarmi scappare. Scappare così, senza capire per quel che posso e lottare per quel che so.
Che, ormai lo sai tu e lo sanno tutti quelli che con me hanno praticato, anche quelli che di me hanno solo letto,

che qui, in Dojo, è la pratica del fuori che
si rappresenta, che ci rappresenta.

Chiudiamo in cerchio, il “Sorriso Taoista” è ora il nostro fare, che il sorriso sul volto è il sorriso nel cuore.
Quel cuore di ognuno, che per ognuno, racchiude un mondo intero dentro.











martedì 2 maggio 2017

Innamorarsi e innamorarsi ancora



“L’incertezza è la condizione perfetta per incitare l’uomo
a scoprire le proprie possibilità”
(E. Fromm)

 

Praticare Arti Marziali… e se fosse un cielo infinito, un cielo senza limiti, uno spazio immenso?
Come a dire che ogni momento di pratica sia solo un momento che va a comporre, va a perdersi, nell’immane sapere senza fine.
Come a dire che l’angoscia così umana, verso il non finito, verso il non certo, va a stemperarsi nella gioia umile di sapersi piccola parte di un tutto mai completamente, mai perfettamente, conoscibile.
Eccole le modeste ed umane paure di chi vuole imparare seguendo il “manuale delle istruzioni” a guisa di montaggio mobili IKEA; quelle di chi vuole le spiegazioni tecniche, i gesti giusti e perfetti.

E se fosse uno spazio in continuo mutamento?
Come a dire che, giorno dopo giorno, tanto io sono sempre diverso, mai uguale al giorno prima, quanto diverso, mai uguale, è quello e come lo faccio.
Se questo fosse l’intenso, profondo, autentico, significato di Tai Chi Chuan, il “pugilato della grande sommità”, il “pugilato dell’azione suprema”? Di Wing Chun, “eterna primavera”? Di Taiki ken, il “pugilato della grande realizzazione”?

E se il “manuale di istruzione per montare mobili IKEA”, e mi spiace per i tanti praticanti, alcuni anche ex Z.N.K.R., che ne sono spasmodicamente alla ricerca, sorta di pillola alla Matrix per imparare tutto subito, di metadone per sfuggire al mostro dell’insicurezza e dell’infantilismo, fosse invece l’immaginazione (1), fosse la reverie di cui scriveva Bachelard?
Certo, più che un “manuale” guida per il praticante spaventato e insicuro, immaginare è un lanciarsi nel vuoto, nello spazio …
E’, quando sei triste, sei un po’ giù, aprire la finestra e guardare il cielo, i suoi colori ed i suoi ritmi; è sorprendersi per il disegno folle di un crocchio di nuvole; è indicare, fanciullo stupito, la traiettoria che vi segnano le ali di un uccello lontano.

E’ aprire il “terzo occhio” come sorgente di audace sapere, di sensi dilatati ed espansi.
Perché … se il “terzo occhio” altro non fosse che specchiarsi nei propri sensi, in una capacità sensomotoria aperta e profonda, specchiarsi in sé?

 
Un grazie ai Maestri Alexandar Trickovic, Xia Chao Zhen, Tokitsu Kenji, per quanto mi stanno insegnando

 

“Ho risposte approssimative e possibili credenze e diversi gradi di certezza di cose diverse, ma io non sono assolutamente sicuro di nulla e ci sono molte cose di cui non so nulla. Non devo avere per forza una risposta. Non mi senso spaventato di non sapere le cose”
(R.P. Feynman)

 
1.“… prima viene l’immagin’azione e poi la visione dipendente da una vista che percepisce influenzata da immagini già acquisite, sia pure ancestralmente” (S. Guerra Lisi & G. Stefani).

 

Post illustrato con fotografie scattate da e dentro la casa dove abito.