mercoledì 27 aprile 2016

Un tranquillo “ponte” a Milano


Sabato

Monica, abile tentatrice, sa dissuadermi dall’andare in Dojo a tirar con l’arco.
Acquattati sul divano, ci concediamo un bel film italiano, “Ho ucciso Napoleone” di Giorgia Farina.
Pellicola avvolta da un simpatico cinismo, allegra e malevola al contempo, distante dalla volgarità e dal banale sentimentalismo che caratterizzano le commedie italiane di questi anni.
A sottofondo della trama, sta la questione “lavoro”, fonte di ansia personale e collettiva del presente.
Ed era ora che dopo tante, troppe pellicole, dedicate ad amori ed amorucoli vari, in questo, come, per fortuna, in alcuni altri film emergenti, si vedano uomini e donne alle prese con l’area lavoro, ahimè infestata da clientelismi, paraculaggine, uso di ogni mezzo, lecito e non, per fare carriera. 
Un crudo e drammatico realismo che, senza scomodare i “padri” della commedia italiana, tra tutti Scola, Risi e Monicelli, si ammanta di un allegro spirito sarcastico, facendoci riflettere su temi importanti senza annoiare, anzi, regalandoci autentici momenti di ilarità.

Il pomeriggio, scartata per i capricci atmosferici l’intrigante visita alle guglie del Duomo, percorso tra decine di sculture e bassorilievi di varie epoche e la vista su tutta Milano e dintorni, scorre lieve e in casa.

La sera siamo alla Palazzina Liberty.
Un tuffo al cuore, per i miei ricordi sessantottini. Ma, questa sera, in un locale egregiamente rinnovato, siamo lì per Shakespeare.
Nel quarto centenario della morte di William Shakespeare, l'Orchestra da Camera “Milano Classica“ propone “Lascia pur che il mondo giri“. Scene di William Shakespeare e musiche originali della sua compagnia, per cui scriveva e recitava, ossia i King’s men, recitazione e canto, tra gli altri, affidati a Benedetta e Beniamino Borciani, due “colonne” dalla compagnia teatrale in cui Lupo si cimenta da alcuni anni.
Musica affascinante, canto che sa entrarti nel cuore, Lupo particolarmente attento ai vari strumenti musicali, lui che una docente della scuola media, colta e appassionata della materia, ha saputo avvicinare con tanto entusiasmo alla musica ed in particolare alla storia della musica stessa.

Domenica

Il pomeriggio, con amici, due passi al parco Forlanini. Uno dei più accoglienti polmoni verdi di questa città.
 
 La sera, insieme, una robusta cena e tante chiacchiere. Chiacchiere rese oltremodo piacevoli da Paolo, uomo colto ed affabile in grado di non usare la sua profonda religiosità come una clava o un elemento di insofferenza verso un … taoista come me !! Niente affermazioni dogmatiche, niente risolute prese di campo, niente banalità (per il mio modo di vedere le cose) del tipo “Se le cose vanno bene, ringrazia Dio. Se vanno male, non prendertela perché Dio sa quel che fa”. Insomma, cattolico praticante ed impegnato nel volontariato, non fa sempre rima con ottuso fanatico.
Chiacchiere che, con l’avanzare del buio e complice un buon vinello bianco, scivolano verso temi leggeri e frivoli, e ci vuole anche questo !!

Lunedì

Tutti in manifestazione.
Veramente io qualche perplessità la coltivavo. Sfilare nello stesso corteo dei partiti politici, che io, memore anche del mio passato professionistico in uno di loro, considero “associazioni a delinquere legalmente riconosciute”; sfilare sapendo che c’è il PD, quello che governa con un delinquente come Denis Verdini, già condannato a 2 anni di reclusione con …  pena sospesa  (!?) e sotto processo per numerosi casi di truffa e corruzione; quello in cui gli scandali hanno costretto alle dimissioni Maurizio Lupi prima, Federica Guidi poi, con la Boschi ferocemente aggrappata alla sedia nonostante il suo coinvolgimento nei vari scandali bancari; quello portato lì dagli intrallazzi parlamentari ma non eletto, alla faccia della democrazia ? Sfilare con i “buonisti” dell’ “accogliamoli tutti”, proprio nel giorno in cui si celebra la Resistenza e la Liberazione ? Sì perché, e sotto casa mia una corona di fiori con i nomi di due ventenni morti per mano fascista me lo ricorda ogni dì, se anche noi italiani avessimo fatto come loro, ce la fossimo tutti data a gambe verso qualche altro pase, chi avrebbe combattuto il fascismo? Possibile che in questo mare tonto di buonisti imbelli, nessuno chieda ai vari extracomunitari provenienti dai paesi in guerra, perché nessuno di loro resta nella sua patria, nella sua terra, a combattere per la propria libertà?  Perché non viene spesa nessuna parola di sostegno per quei pochi che in terra d’origine ci restano e combattono? Tutti dimenticati da mass media conformisti, da intellettuali dalla prosopopea tronfia, da partiti infognati nelle spire dei potentati economici.
Ma è l’occasione per Lupo di immergersi fisicamente ed emotivamente in un movimento di massa, di condividere ideali e valori di alto rilievo. Poi, c’è anche una rappresentanza della sua scuola, mai disattenta a ciò che avviene nel sociale, mai lontana dalla storia e del suo snodarsi quotidiano, come è giusto che sia per ogni scuola che voglia realmente educare e accompagnare i giovani verso l’ingresso nel mondo adulto.
Così, tutti e tre, più Kalì, in corteo.

La sera, ci concediamo un film francese, “La famiglia Belier”, di Eric Lartigau.
Vivace commedia sospesa tra le aspirazioni di libertà di una adolescente e il confronto con la diversità, la disabilità (in famiglia, tranne lei, tutti sono sordomuti). Un film che ci piace proporre a Lupo, lui che già frequenta una scuola ben attenta alla disabilità, che di quest’ultima sa proporre risorse e ricchezza.
Grasse risate, qualche lacrima, una struggente canzone, dal testo incantevole, a condurre il film (https://www.youtube.com/watch?v=-er9ZsnXYkk) ed ogni volta che la riascolto mi commuovo.

Poi, Lupo a “nanna”, relax totale e due chiacchiere con Monica. A capire se stiamo conducendo bene la nostra famiglia, a capire se siamo, con i nostri sbagli, due buoni genitori per un ragazzino in crescita da lanciare verso il mondo.



martedì 26 aprile 2016

Verso il viaggio della Notte: il cosa e come, prima parte.


Tai Chi Chuan

 

Dalla millenaria cultura taoista, cogliamo un corpo che non è meccanica asettica a cui appiccicare formule psichiche. Esso è corpo fisicoemotivo vivente e sognante, corpo protagonista di un elaborato gioco comunicativo, corpo che incontra e si scontra, ingaggia sé e l’altro da sé.
Il Tai Chi Chuan è arte del movimento. Come tale, arte e movimento, non cristallizza, non fissa, non immobilizza. L’individuo che si fa corpo Tai Chi Chuan è tale se crea disegni e forme poi abbandonandoli per creare nuovi disegni, nuove forme, e poi, di nuovo, torna ai disegni ed alle forme iniziali plasmandoli e modificandoli con l’esperienza acquisita e di lì, di nuovo, riparte per disegni e forme ed azioni inesplorate.

Ogni giorno è un altro giorno e su questa cadenza nessuno ha potere. Allora senti dentro il costato quel ritmo, respiro e cuore, quel pulsare, ritmo e cuore, che ti è impossibile scordare.
Solo così il corpo Tai Chi Chuan si rappresenta come eretico, impertinente, a volte anarchico ribelle, un praticante che cavalca l’onda dei cambiamenti. Pratica attraversando la crudeltà della sofferenza ed il disagio del malessere, ma anche accogliendo il pieno gusto del vivere, dell’esporsi, del congiungersi all’altro, del godere e del gioire.
Per questo, il praticante Tai Chi Chuan ama vivere, si lascia alle spalle tutti quei “No”, quegli acri giudizi che vorrebbero farlo bugiardo o servo zelante.

E sarà corpo fisicoemotivo che incontra le sue risorse dimenticate, ravviva l’energia vitale più profonda, guarda ed agisce con gli occhi dell’immaginario, di una suggestione consapevole, di una grandiosa trance, che si apre alle emozioni ed all’erotismo gioioso.

Sarà entrare nella struttura (Xing) e sul suo modellarsi nello spazio (Shi), affermando il potere del corpo di muoversi dal di dentro come un nucleo autonomo di vigore e decisione.
Così fluiranno movimenti che percorrono il corpo tutto, ispirando muscolatura profonda ed articolazioni come forma agevolata di espressione delle emozioni. Abbracceremo un uso consapevole e ritmico dell’alternanza tensione ed estensione, flusso e riflusso.

Sarà respiro profondo.
Perché flusso e riflusso del respiro sono intimamente legati ai movimenti del torso. Perché ogni movimento espressivo della vita trae origine da questo ritmo primario dell’inspirazione e dell’espirazione, in questo congiungersi di forze in un fulcro motore seguito dal sua propagarsi, che richiama alla mente il predatore acquattato, immobile e teso, prima di balzare ed espandersi verso la preda.

Sarà contatto con le proprie emozioni più profonde, in cui lasciar andare la volontà cosciente, l’intenzione (Yi) come è intesa nel nostro linguaggio (“disegno che la mente elabora in rapporto a un fine”; “direzione della volontà verso un determinato fine”) per abbracciare una concezione taoista che interpreta Yi come intento “detto dei sensi e della mente, che è attentamente rivolto a qualcosa” (diz. Garazanti); come “il cuore che colui che parla, pensa e agisce mette in ciò che esprime in suoni, pensieri o atti “( traduzione del sinologo C. Larre). Ovvero qualcosa di intimamente connesso con istinto e pulsioni.

Sarà il Tai Chi Chuan come lo sono andato scoprendo in questi quarant’anni di pratica, attraversando Maestri di diverso spessore (*), attraversando il mio vivere quotidiano. E lo offrirò a voi, perché ognuno ne faccia quel che più gli aggrada, lungo il suo personale cammino di crescita e vita.

 
Un grazie ad Elise per le bellissime fotografie
 
(*) Nell’ambito del Tai Chi Chuan, ricordo il mio primo incontro con quest’Arte, nel 1979, attraverso il M° Grant Muradoff, a cui devo l’avvertimento “Io non insegno un Tai Chi marziale”. Avvertimento che mi ha permesso di tenermi lontano dalle varie “ginnastiche lente” come dai vari Karate tanto smorzati quanto ancora legnosi, venduti come Tai Chi Chuan, per cercare invece quel Tai Chi che non avesse perduto le sue radici combattenti.
“Radici combattenti” che ho trovato, era l’anno 1980, col Maestro Tokitsu Kenji, praticante e ricercatore di prim’ordine, il primo ad introdurmi realmente in quest’Arte. Poi, dopo una breve esperienza con il Maestro Chen Zhenglei, ecco la Scuola del Maestro Erle Montaigue, uomo eccezionale, praticante e docente eccezionale, e con lui i suoi rappresentanti Anthony Walmsley e Vincenzo Staltari.
Tre anni or sono circa, l’incontro con il Maestro Alexandar Trickovic, ovvero la scoperta di un mondo Tai Chi di incredibile efficacia, di cui sono tutt’ora allievo, seppur non certo tra i più abili, che mi ha fatto conoscere il Maestro Wang Zhi Xiang.
Senza scordare il recente incontro con il Maestro Xia Chaozhen, gentile ed affabile portatore di un Tai Chi sinuoso e flessibile, di rara bellezza e semplice efficacia.

 



 

lunedì 18 aprile 2016

Verso il viaggio della notte: Il dove


“Stai con chi è come tu vorresti essere”
(E. Greitens)

 

La “pattuglia” di esploratori dello Z.N.K.R. si mette prontamente in viaggio. La meta è l’Agriturismo “Il Bivacco”, nei pressi di Garlasco, gestito dagli amici Teresa  e Mario, luogo scelto per la quinta edizione de “La Notte del Guerriero”.
Luogo già noto alla Scuola, tra cene sociali, una precedente edizione (la terza, nel 2010) de “La Notte del Guerriero” e l’avventura con il corso bimbi e ragazzi.

Sorrisi ed una gran voglia di stare insieme un pomeriggio intero. Amici di lunga data e amici nuovi. Attorno ad un tavolo, tra pane e salame e buon vino, chiacchiere frivole e i primi accordi perché “La Notte del Guerriero” sia un ambiente accogliente, sia teatro di ombre e misteri e parole notturne per i marzialisti dello Z.N.K.R.
Combattenti di relazioni con se stessi e con gli altri, affidati ad un corpo che è fisicoemotivo, che è sempre in mutamento, che manipola e modella, consapevolmente o meno, lo spazio e il luogo che abita, la rete di relazioni e la comunità in cui abita.

E proprio questo è il primo passo da compiere: acquisire consapevolezza e, con essa, il coraggio di conoscersi a fondo e cambiare, individui autodiretti.  Fare della pratica marziale, in contesti protetti e rituali, una caccia al malessere, un incontro con l’Ombra ed i demoni che la animano.  Fare del corpo fisicoemotivo un esploratore di ritmo, un alchimista degli opposti, un agitatore di bisogni.

A volte sembra un gioco, ed in parte lo è, un gioco che stentiamo a riconoscere che riguardi noi. Poi, tra un pugno ed una schivata, tra un oceano che si apre nel bacino e la sensazione netta che la colonna vertebrale si trasformi in serpente dalle mille movenze pazze, ci scopriamo a chiederci cosa sia quel fuoco che ci brucia dentro e perché le fiamme stiano lambendo anche la nostra personale storia.

Chi l’ha detto che la pratica marziale sia sempre quel che appare e non invece un gioco di illusioni e trasformazioni ed inganni e buchi neri che lacerano un sfondo vigliacco ?
Che senso ha togliersi le mani dagli occhi, se poi scappi dai tuoi sentimenti più profondi ?

Allora, marzialista eretico e sincero, ti senti al centro di ogni cosa, al centro dell’universo, per poi comprendere, ore di pugni e calci, sudore copioso lungo la schiena, che ne sei solo parte, una parte importante, ma solo una parte.
Ora sta a te scegliere di mortificarti per questo o, invece, lottare e liberarti perché questa sia sì solo una parte, ma la TUA importante parte.  Ora entri lungo il tempo e nei posti in cui hai perso aspirazioni e cuore e l’entusiasmo di volare e te ne puoi riappropriare.
Scopri che sei così diverso e altrove, che non hai più voglia di tornare. E non t’importa, come non t’importa lo sguardo estraniato, lo sguardo disapprovante, di chi ti ha visto come eri prima.
Non ti importa perché è troppo bello restare e scoprire quel tempo e quei posti in cui hai ritrovato aspirazioni e cuore e le ali per volare. Perché hai cominciato a viaggiare.

Allora, questo pomeriggio di cielo coperto e aria fresca, di volti amici, di proposte e discussioni, è la giusta apertura verso il viaggio della Notte, “La Notte del Guerriero” che ci attende a Maggio.

 
“Il maestro dell’arte di vivere non traccia confini netti tra lavoro e gioco; tra fatica e svago; tra mente e corpo; tra istruzione e ricreazione. Egli non distingue questo da quello.
Semplicemente, egli persegue l’eccellenza in tutto ciò che compie, e lascia che siano gli altri a stabilire se lavora o gioca.
A lui sembra sempre di fare l’uno e l’altro”
(L. Pearsall Jacks)

 


venerdì 8 aprile 2016

Verso “La Notte del Guerriero”


La Notte del Guerriero
5° Edizione

NdG 2006
 

 La notte tra Sabato 28 e Domenica 29 Maggio, terremo la 5° edizione de “La Notte del Guerriero”: Otto ore di formazione marziale “non stop”, dal calar delle tenebre al sorgere dell’alba.

Una piccola e profonda avventura che, dal cuore della notte, passerà al cuore di ogni protagonista.
Sarà grande la passione di ogni artista del combattere, più grande delle nuvole e della luna; più grande della stanchezza e della paura di non farcela; più grande della sorpresa di un sole che schizza di rosso il cielo che va facendosi pallido.
Otto ore di formazione marziale all’aperto, riconoscendo come voce il vento che percorre la sterpaglia, ascoltando i passi ed i respiri dei compagni.
Maschi e femmine, adulti e ragazzi e bambini, insieme.

NdG 2014
Consapevoli che il corpo è un dato, anzi è il dato, è l’esperienza che ne facciamo ogni giorno, ventiquattro ore al giorno, senza mai smettere. Tutt’al più, ohibò, senza esserne consapevoli.
Eppure il processo che dal sentimento interiore diviene movimento autoespressivo, consiste nel portare nell'ambiente una parte di se stessi.
Nell'esprimere la nostra vita interiore, realizziamo tante “cose”.
Per prima cosa, indirizziamo l'energia e la tensione accumulate durante la fase di mobilizzazione, ovvero scarichiamo la nostra "prontezza ad agire" attraverso l'azione. Per seconda cosa, esprimiamo all'ambiente il nostro stato interiore, così che possiamo suscitare una reazione. Per terza cosa, grazie ( se c’è !!) alla consapevolezza del nostro agire, diamo forma e credibilità al nostro senso del sé.
L'espressione del sentimento non solo scarica la tensione, ma è una funzione del contatto, dell’incontro di sé con l’altro nell’ambiente.

Allora danzeremo di incontro e scontro dentro la cacofonia dei rumori notturni. Ci basterà un secondo, un attimo, per scoprire che ognuno di noi è diverso da un prima così lontano. Ci basterà un incontro con un cuore diverso per comprendere che possiamo vivere imparando a volare oltre ogni ostacolo, a sprofondare consapevoli nei sensi e nelle emozioni.

Sarà attenta e divertita formazione marziale, fondata sul movimento sì come sulla psicofisiologia, affidandosi al flusso vitalistico, all’erotismo dell’agire conflittuale che sempre rassicurante non è, anzi, in ogni corpo che si incontra e si scontra. E sarà, nella singolarità di ogni individuo, anche evento gruppale, perché nella Scuola, nel clan, si consolida il sentimento di gruppo, di collettività.

Una impostazione che sappiamo complessa ed integrata, quanto consci che se io accanto a te, contro di te, respiro, tutto può accadere. Anche, finalmente, scoprire di vivere.
Per questo, dopo le due esperienze ospiti a casa di Enzo, nei primi anni duemila, poi all’Agriturismo “Il Bivacco” (2010) e recentemente a “La Corte Ghiotta” (2014), riproponiamo questa intensa avventura.
Per questo, “La Notte del Guerrieroè aperta a tutti.

Nelle prossime settimane, il dove ed il cosa.

 

“Il guerriero, per essere coerente con se stesso, deve spezzare ogni schema mentale che lo imprigionerebbe nell’ovvio e nello scontato. Agli occhi degli altri apparirà come un incoerente o come un folle perché non si allinea col comune buon senso”
(R.M. Sassone)

 


lunedì 4 aprile 2016

Ma è sempre colpa del papà ?


“Allo stesso modo non basta migliorare le storie che ti racconti: devi vivere una storia migliore”
(E. Greitens)

 

by M. Sikorskaia
 L’impostazione culturale dello Z.N.K.R., il pathos che si vive dentro, il praticare stesso che è percorso di individuazione e crescita, il tessuto delle relazioni che si vanno costruendo, portano con sé alcuni tratti distintivi.
Così come il mio pormi quale Sensei (“colui che è nato prima”) ovvero sorta di mentore, che, sommariamente, è una persona capace di guardare te e la sfida che ti si pone davanti vedendo oltre le apparenze e le stesse motivazioni che tu esibisci al momento di entrare in dojo. Perché il mentore è colui che è in grado, con l’esperienza che ha, cadute e fallimenti compresi, di accompagnarti a decidere dove davvero vuoi andare, cosa davvero vuoi fare di te e del tuo vivere.

Ecco, in questo percorso condiviso, mi è sovente capitato di essere letto, vissuto, come un “papà”, o, almeno, un fratello maggiore.
Allievi rigorosamente uomini, anagraficamente già adulti, che scoprono in me quella figura maschile che, nella loro vita, è stata assente, latitante, o, se presente, autoritaria e squalificante.
Del tutto umana e logica questa loro interpretazione.

 Mentre gli animali (in libertà, che in cattività è tutt’altra cosa !!) seguono un’evoluzione naturale che va dallo stato di cucciolo a quello di adulto, a quello di genitore e compiuta l’evoluzione naturale, i comportamenti relativi a tali stati sono intercambiabili fra loro a seconda della situazione ambientale, negli essere umani il processo non è così spontaneo.
Nell’essere umano, a causa dell’evoluzione della neocorteccia celebrale che introduce nello psichismo umano la variabile dell’affettività, essi sono il risultato di un’evoluzione affettiva, di un intreccio di relazioni.

 Prima di giungere all’identificazione con la personalità adulta, il bambino ha da percorrere un lungo itinerario: deve strutturare quella personalità dentro di sé, deve cioè interiorizzarla e farla propria fino a identificarvisi e quindi fino a diventare effettivamente un adulto.
La crescita psico-affettiva che va dal bambino all’adulto al genitore, consiste nel passare da una condizione di dipendenza ad una condizione di autosufficienza, poi ad una condizione di dedizione.
Il processo naturale di strutturazione del modello comportamentale adulto è la conseguenza di cinque distinti processi, comunemente così identificati:
il reclutamento di un modello;
la memorizzazione di una sua immagine;
l’imitazione del modello;
la radicalizzazione del modello;
l’immedesimazione con il modello.

 Privi dello stato di adulto, non vi è identificazione stabile con la personalità adulta.
Inevitabile, in questo percorso in cui il confliggere in pedana, botte comprese, è metafora e metonimia dello scontrarsi quotidiano, con se stessi in primis, ma pure con l’ambiente familiare, lavorativo, affettivo, ecc. in cui l’allievo vive, incappare nel processo di transfert (e contro transfert). *

 
Nel mio modo di propormi come guida lungo il percorso di individuazione, forte della mia formazione marziale come di quella gestaltica, tendo a valorizzare la relazione allievo - Sensei, in un pastoso meticciato di vitalità e rallentamenti, neutralità e partecipazione, aspra profondità e leggera autoironia, sorriso e sofferenza, in un appassionante e insieme perturbante viaggio verso il cambiamento.
Un rapporto in cui l’inevitabile reciproco “attaccamento” sia un momento di confronto e crescita, anche intenso, anche doloroso, ma mai un “attaccamento” morboso da un lato e una prevaricazione dall’altro.

 
Questa … la teoria, l’area delle intenzioni.
by M. Sikorskaia
Perché, guardando alle spalle comportamenti, scritti, parole, gesti, in alcuni degli allievi suddetti, ho notato una serie di aspetti che tradiscono una relazione, un transfert, nient’affatto sano, ben poco … adulto.
Insanità che si manifesta con la richiesta, esplicita o mal celata, di essere aggrediti e squalificati per potersi sentire in diritto di andarsene; con una serie di parole e gesti imbevuti di rancorosa recriminazione verso un “papà” che li ha delusi. Nel migliore dei casi, con una pomposa prosopopea (costruita su qualche piccola bugia !) su come si sono affermati, hanno raggiunto i loro obiettivi, si sono realizzati anche senza il loro caro paparino o proprio perché si sono liberati del papà.

 
Lo so, in ogni relazione che diventi matura, aprire una crisi è necessario per permettere il distacco, anche doloroso, anche aspramente conflittuale, ma, appunto, il bambino che cresce DEVE prendere le distanze dal padre che lo ha cresciuto fin lì. Il padre DEVE saper accettare l’allontanarsi del figlio, anche quando la direzione presa lui non condivida.
Sarà il tempo, unito all’adultità conquistata dal figlio, a ricomporre una relazione ora tra due adulti, tra pari.
Invece, a qualcuno è capitato / capita, di non riuscire ad aprire il conflitto e nel conflitto sostare. Questi preferisce fughe vigliacche, pettegolezzi ed isterie, preferisce seminare malcontento. Rimane bambino, infelice e disadattato, che resti in famiglia ( lo Z.N.K.R.) che ne stia ai margini o che se ne allontani.

 
Lo stato di adulto consiste nella capacità di stare da soli e di lottare per autoaffermarsi.
Dunque il non avere alcun “attaccamento”, che si coniuga con l’autocentramento dell’adulto in se stesso, senza riferimenti esterni, senza più dipendenze ed illusorie sicurezze pretese da altri.
Solo così il bambino scopre che alla fine, il mondo sconosciuto ed ostile, non gli ha fatto niente.
Non che l’adulto debba essere necessariamente un antisociale, un solitario, anche se questa è la sua tendenza naturale. L’adulto può benissimo avere amici, stare in gruppo, condurre un’intensa attività sociale.
Ma non ne dipende. Per lui questo non è un bisogno, ma un piacere.
Per questo è importante la capacità di affrontare, di ingaggiare, di stare nel confliggere, come di separarsi e rincontrarsi.

 
Certo, non tutti i “bambini” passati dal Dojo si sono castrati interrompendo il loro processo di individuazione. Tra chi si è castrato, poi, alcuni sono “evaporati” senza lasciare traccia e solo alcuni, fuori o dentro la Scuola, si sono messi a tessere trame marce per difendere la loro castrazione accusando, esplicitamente o meno, il padre.
Ma quei pochi casi sono per me, comunque, motivo di riflessione sul mio operato.
Senza coltivare alcun delirio di onnipotenza, fatto salvo che probabilmente è fisiologico, in ogni organismo sano che produce energia, verificare una “perdita di calore”, ovvero una minoranza rattrappita su se stessa, mi chiedo se e come io possa aver errato nella conduzione del rapporto.

Beh, starà a Michela, amica carissima oltreché psicoterapeuta di valore, nelle cui mani mi metto quando ho da rimettermi io “in bolla” o quando mi occorre una supervisione sugli allievi verso cui coltivo delle incertezze, darmi una mano. Ed io, poi, se possibile, da un lato darla a quei bambini capricciosi e rancorosi che, stentando a divenire adulti, se la prendono con il loro papà; dall’altro non incappare negli stessi eventuali errori con gli “adulti bambini” che verranno.

 
“Noi proiettiamo sempre sul mondo la nostra visione interiore, noi abbiamo con gli altri esattamente lo stesso rapporto che abbiamo con noi stessi.
Perché gli altri, per ognuno di noi, sono sempre una proiezione di noi stessi”
(G.C. Giacobbe)

 
* Transfert è, mi si perdoni la banalizzazione, quel “carico” di sentimenti che il cliente / paziente /allievo riversa sulla figura autorevole che gli sta davanti. Contro transfert è quanto di sentimenti ed emozioni quella figura gli restituisce.
Spiegazione davvero semplicistica e dai tratti meccanicistici, scritta solo come indicazione di massima.

 


venerdì 1 aprile 2016

Into the Woods

























Alla ricerca di un film da guardare tutti insieme,
la scelta cade su “Into the Woods”.
Ed eccoci tutti e tre, più Kalì acquattata accanto, sul divano: inizia !!

Il film è la trasposizione cinematografica di un musical della metà degli anni ’80, in cui convivono quattro celebri fiabe (Cenerentola, Cappuccetto Rosso, Raperonzolo, Jack e la pianta di fagioli) unitamente alla presenza di una strega prepotente  e alle speranze genitoriali di una coppia di fornai.

Il cuore del film, dopo un avvio simpatico che già promette sviluppi impensati, prende forma quando le diverse storie confluiscono in un enorme bosco.

Il bosco rappresenta il rito di passaggio, quell’esperienza della vita che porta, anche attraverso l’incontro con le parti più oscure di noi, alla perdita dell’innocenza. Un passaggio obbligato nella vita di ogni individuo che lo aiuta nella crescita interiore. Aiuta sì, ma sta a chi si perde nel bosco lavorare per trasformarsi, altrimenti ne uscirà “innocente” (stupido ? superficiale ?) come prima.
Per diventare adulti è imprescindibile imparare ad affrontare da soli tutte le difficoltà della vita, non facendolo, si resterà bambini. Ovvero incapaci di dominare l’ambiente, stretti nella morsa della paura, incapaci di accettare la realtà com’è e sempre volendo, pretendendo, quello che non c’è

E’ qui il caso della matrigna e delle sorellastre di Cenerentola, che si dichiarano non atte a combattere la gigantessa e tornano precipitose al villaggio d’origine. Il film non ce lo mostra, ma noi sappiamo che il villaggio non c’è più, distrutto dalla gigantessa stessa. Dunque, costoro, nel tornare, restano in realtà sospese in un limbo di “innocente” superficialità, in uno spazio – tempo insulso e non reale. Eterne bambine.

Altri, nel bosco, posti di fronte ai propri limiti, iniziano, volenti o meno, un personale “viaggio” interiore.
Perché il bosco è spazio oscuro ed incantato, dove emergono le paure più folli ed i lati più oscuri delle persone che vi sono costrette.
In un clima di disordine totale, con la sensazione che forse non ci sarà un domani e di essere costretti in un perpetuo presente senza conseguenze, c’è chi scappa, chi abbandona, chi tradisce, e c’è chi, disperato, accusa tutti gli altri per trovare una giustificazione al proprio fare e al male che si è scatenato.
Un male che scopriamo non nascere dalla volontà di una singola persona, quanto dall’insieme di piccoli gesti, desideri e scelte, apparentemente comprensibili che, invece, una volta inevitabilmente in relazione tra di loro, conducono a conseguenze dal sapore catastrofico.

Contrariamente alle versioni edulcorate che ci sono note, il film riprende, a suo modo, le caratteristiche truculente delle fiabe così come erano in origine.
Soprattutto, la distinzione tra bene e male non è affatto netta, delimitata.
Qui non vediamo l’eroe convenzionale e rassicurante, il personaggio tanto attraente da permettere una immediata e facile identificazione da parte del bambino spettatore.
Qui tutti si perdono, poi si ritrovano e di nuovo si fuggono, a volte desiderando smodatamente altre aggrappandosi ossessivamente ai propri desideri.

E, nel film, la fiaba torna ad essere  terapeutica perché lo spettatore trova ( se lo vuole) le proprie soluzioni meditando sullo svolgersi delle vicende che più rispecchiano i suoi conflitti interiori in quel momento particolare della sua vita, senza far riferimento mai a fatti reali, in un contesto fantastico ( protetto ?) tra principi, carrozze, uccellini che capiscono la nostra lingua, mucche che ingoiano mantelli e scarpette …
Ciò rispecchia, di fatto, il funzionamento della nostra mente, un campo aperto dove tutto è pensabile, anche il fantastico, purché ci aiuti poi nel quotidiano sfangare di tutti i giorni.

Attenta alla favola che racconti.
Quella è l'incantesimo. I figli ascolteranno.
Attenta prima di dire: "ascoltami".
I figli ti ascolteranno.
Attenta a ciò che desideri. I desideri sono figli.
Attenta alla strada che prendono
I desideri si avverano. Ma a un prezzo.
Attenta all'incantesimo che fai. Non solo sui figli.
A volte l'incantesimo può durare più di quanto non immagini.
E rivoltarsi contro di te.”

Così recita la canzone finale. Ed io, da genitore così come da “sensei, da conduttore di gruppi, non posso che riflettere sulla forza pericolosa di queste parole.