mercoledì 23 dicembre 2015

Stille Nacht 2015


“Portare una cintura nera non significa che sei imbattibile.
Significa che non hai mai mollato,
hai lavorato oltre il dolore,
hai superato le delusioni,
non ti sei perso nei tuoi dubbi,
hai affrontato le tue paure,
e hai imparato abbastanza
per renderti conto di quanto poco,
per ora,
conosci realmente”

 

 

Gli allievi praticanti
La sala, immersa nell’oscurità. Il silenzio, scosso dai respiri e dallo scalpiccio dei passi.
Ognuno di noi saprebbe certamente nascondersi dentro il buio che sta fuori, dentro il buio che sta dentro, quello che danza incauto dentro e fuori dalle righe dei guai e delle paure.
Ognuno di noi potrebbe rubare la luna rossa della rabbia e del dolore.
Invece siamo qua, a masticare e sudare di Kenpo Taiki Ken.

Nessuno parla: questa sera è il silenzio a farla da padrone. Nessun futuro trionfale né piccola o grande impresa da appiccicare sulla bacheca del villaggio degli scemi, né magia di moda di stampo orientale.
Solo masticare e sudare di Kenpo Taiki Ken.

Troppi i mesi senza praticare perché le movenze di Tina non siano appesantite, eppure lei non molla, si impegna, c’è. Forte ringhia il “motore” di Giovanni, che ogni proposta è una salita ripida, scoscesa, a cui lui si accosta deciso a capire, a provare, a riuscire. Sento gli sforzi  sinceri di Renato, vedo Valerio immerso nei suoi giochi di bacino, Francesco si sbatte concatenando pugni e calci, Celso ansima, suda, colpisce più forte che sa, Davide cerca un’ardita coniugazione tra la sua rapidità e la forza di gravità che lo trattiene al suolo.
Ognuno mastica e suda di Kenpo Taiki Ken
La buona tavola

Questo giorno è un altro giorno, nessuno lo può saltare, tantomeno chi è qui stasera, chi è qui a ripercorrere la nascita per poi morire. Due ore di buio e di silenzio, una candela rossa accanto ad una statua sfregiata da vernice che colora di sangue. Nascere per poi morire, questo è Stille Nacht, il Natale, l’anno nuovo del guerriero che mastica e suda di Kenpo Taiki Ken.
E poi rinascere, forse, probabilmente, diverso.
Senza un alito di vento fuori, solo vento forte, di tempesta, dentro. Vento che cambia il tempo, le  stagioni come il suo stesso scorrere. E lo fa solo per sempre,  in un  istante che resta lì eternamente. Paradosso, schiaffo in volto ad ogni logica, ad ogni sequenza matematica.

La vita non ascolta, mai. Allora siamo noi a lanciarle il guanto di sfida, persino a sfidare noi stessi, tra immense posizioni di Chi Kung e repentini spostamenti ad aggredire. Sfidiamo il monotono ripetersi delle cose e degli eventi, la prigionia di fughe e diversità che sono solo sparute ore d’aria in un ergastolo infinito, le colpe proiettate sugli altri e il volgare consumo senza uso.
Sfidiamo il nostro essere bambino capriccioso che pretende sempre attenzioni ed amore incondizionato; il nostro essere adulto, egoista irriducibile, incapace di condividere il mondo suo  e degli altri; il nostro essere genitore sistematicamente punitivo o paternalista, asfissiante o assente, sovente squalificante.
Sfidiamo, mentre mastichiamo e sudiamo di Kenpo Taiki Ken.

Si accendono le luci e con loro i sorrisi e le parole.
Abbiamo lottato, non certo per un compenso, e quale mai ?
Abbiamo  lottato per amore, per conoscenza umana di noi stessi e per l’erotismo sano e pieno che dà il vivere. Vivere da guerriero, a vegliare quando gli altri dormono, quando costoro  fanno del loro giorno un’unica, continua, indistinta notte.

La tavola offre cibo e birra e vino.
Attorno, i guerrieri dello Z.N.K.R., uomini come tutti. O forse no.

 
Grazie a tutti coloro che, pur avendo altro da fare, hanno scelto di condividere Stille Nacht.

 





lunedì 21 dicembre 2015

Come ali nel vento


“Una grande nave
rimorchia una piccola nave
nella nebbia”
(Masaoka Shiki)

 

E sarà sentore, calore, di amicizia, mentre siamo una ventina e più attorno ad una tavola.
Grazie all’intraprendenza di Donatella e Giuseppe, anche quest’anno si ripete quella che è ormai la “tradizionale” cena di Natale.
Cena che vede riuniti attorno ad un tavolo amici e praticanti Arti Marziali ed ex praticanti e fidanzate e mogli e figli, alcuni già cresciuti altri che muovono ora i primi passi nella vita, e genitori di questi figli.

La verità, la verità di un rapporto che per molti di noi si snoda lungo un arco di trent’anni, ci chiama, qui attirata dal sorriso innocente di un bimbo o dal burbero borbottare di chi ormai avanza con i capelli e la barba bianchi.
A lei apriamo la porta della simpatia, dei buoni sentimenti, dell’accoglienza.
Lei che è amicizia vera, profonda.

Vivere ci ha portato e ci porta da un luogo all’altro, da un incontro all’altro. Eppure nessun ostacolo, nessun fraintendimento, nessun oblio, ha sottratto cuore e corpo ai fili forti di quest’amicizia.
Amicizia che ci scorre accanto, mite e sorniona insieme, colma di differenze e insieme pervasa di richiami al benessere che dà lo stare insieme.

E’ quest’amicizia, sugli occhi sgranati di Marta, adolescente curiosa ai primi richiami della femminilità, nell’inconfondibile voce di Claudio, nell’armeggiare confuso di Matteo, negli abbracci teneri e delicati di Barbara, nello stare insieme di tutti, a riunirci attorno ad una tavola riccamente imbandita, condividendo il buon cibo e l’alcool che scorre generoso. E dove  se no, se non a tavola, nei piaceri di gola e pancia, ci possiamo ritrovare noi che, chi dentro o chi gravitando attorno, chi per anni e chi per pochi mesi, siamo stati Z.N.K.R. ? D’altronde, ogni buon taoista è un amante del buon vivere !! Ogni artista del combattere, del “dare la morte”, non può non essere un artista del buon vivere !! Se mangi e bevi solo per nutrirti e non per godere del mangiare e bere, che vitalità, che erotismo del vivere, puoi mai coltivare ?

Sono le due di notte quando, con Monica, Lupo e Kalì, ci lasciamo la porta alle spalle.
Resta la fiducia di riaprirla e varcarla altre ed altre volte ancora; se non quella stessa porta, ogni porta che ci riconduca dagli amici e dalle amiche.

Grazie ancora, Do e Giu.

 “Ho imparato che le persone dimenticheranno quanto detto, quanto fatto, ma non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire”
(M. Angelou)

 





giovedì 17 dicembre 2015

Star Wars 7


Da vedere, per immergersi in due ore di spensierata assenza da ogni problema, due ore di assoluto svago, di immagini enormi ed enormi “panzane. La Walt Disney la fa da padrone e ci mostra il “lato chiaro” della vita, le iperboli e gli eroi di celluloide, inserisce battute ironiche e figure a tutto tondo.

Chi si ricorda i patemi d’animo, anche solo accennati, le mani a scavare nel contorto animo umano, l’Ombra e i suoi richiami delle opere di Lucas, sia, invece, qui disposto ad accogliere una simpatica favola per bambini. Bambini ben pasciuti, tenuti al caldo e protetti, accuditi  ogni ora del giorno da quella instancabile mamma robot che è la televisione, con un progetto di vita che, presumibilmente, li porterà, quando avranno “dieci centimetro di pelo sotto le ascelle”, a continuare un’anaffettiva e priva di erotismo vita nel gregge.  

Allora … via le mani dagli occhi, ma soprattutto via dai pensieri, dai tormenti che sfondano emozioni e ti mangiano l’animo.
Diventa semplice far  finta che niente ti appartenga, che il tuo respiro sia solo meccanica di mera sopravvivenza.
Tutto accade, sullo schermo, qui ed ora, e ti viene elargito, in elegante carta patinata, come un dono di Natale.

Qualche critico, nel disperato tentativo di sfoggiare un po’ di sapere colto  (e che diamine, avrà pensato, sono un critico cinematografico e dunque pur sempre un intellettuale) e regalare al film una minima patina di pensiero adulto e critico, ha preso la figura di Ky Loren, il nuovo cattivo, come esempio di tormento tra Bene e Male, e per fortuna che non si è spinto nelle paludi del complesso edipico per spiegarci l’uccisione del padre. Poi c’è chi ha agitato le immagini di violenza di massa sui villaggi per celebrare un presunto crudo realismo, una “violenza genocida effettivamente percepibile”.
Troppo poco, e troppo generosamente appiccicato ad una pellicola di puro svago, per colpirmi davvero.

Che di svago, e pure piacevole, si occupa Star Wars 7. Si tratta solo di decidere se ti vanno due ore di vacanza nel fantastico mondo zuccheroso della Walt Disney.
I bambini, eravamo in sedici di cui dieci tra bambini e ragazzi, se la sono goduta allegramente.
Io pure.

Certo, nella sala accanto davano Moby Dick. Però, se ricordo un libro affascinante e tormentato, altro che lettura per ragazzi come a indicare un testo superficiale, piuttosto un corposo addentrarsi nelle viscere e nell’oscuro dell’uomo, non vorrei trovarmi davanti un film che sia la solita “caramella” al miele dolciastro per fan di face book, battitori insaziabili e compulsivi sui tasti del WhatsApp, rincoglioniti  da una società di un’unica stagione sempre quella, un unico pensiero ( o “pensiero unico”), un unico gusto. Un “unico”, insomma, che lasci sopravvivere mediocremente senza mai rischiare di vivere.
Mah, ci penserò.

lunedì 14 dicembre 2015

Cialtroni in vendita


“Mi ha colpito” disse, quando riuscì a mettersi seduto.
Il vecchio era nell’angolo del ring, appoggiato alle corde.
“Non ascoltare mai stronzate come uno che ti dice ‘Attaccami’. E’ da idioti. Rischi di finire in una situazione che potrebbe non piacerti. Fai il tuo gioco”.
“Ma me l’ha detto lei”.
“Giusto, ragazzo, te l’avevo detto io. Questa è la prima lezione. Pensa con la tua testa e non ascoltare un coglione che ti dà consigli; e, come ho detto, fai il tuo gioco”.
(J.R. Lansdale)

 

 Da qui, nel solco che è grande scavato in quasi quarant’anni di pratica, è tutto più triste, più greve, più di quanto non lo sia già.
La fortuna guadagnata in ore ed ore di fatica e sudore e tempo e soldi spesi  ed energie profuse a tutto corpo, mi dona il privilegio di guardare cialtroni e disgraziati come da una balconata.
Se mi volto indietro, quarant’anni di distanza, ero un “pischello” di vent’anni e poco più, armato solo di tanta rabbia e violenza, giocata per strada, tra pestaggi di gruppo e corpo a corpo, sprangate date e prese, un coltello in tasca qualche volta in mano, la cariche della “pula” e gli agguati ai “fasci”.
E’ andata come è andata, altre volte l’ho, in qualche modo, raccontata. Poco dotato alla motricità, progressi lenti, quanto lenti, mai mollato un allenamento o una gara, mai tiratomi indietro dal fare un’esperienza nuova che mi facesse intravedere una possibilità di migliorare, di imparare sui pugni  o sui calci, sulle schivate e sulla potenza nel colpire.
E le soddisfazioni, quelle nascoste dietro le ore in cui ero messo a rifare forme e gesti già imparati, come fossi uno scolaro ripetente, un po’ più tardo degli altri, per poi trovarmi davanti il Maestro che mi chiede di insegnare ai corsi nei giorni in cui lui non c’è. Ecco cos’era quel purgatorio di ripetizioni della “scuola dell’obbligo”, era il viatico, la formazione per accedere all’insegnamento al posto del Maestro.
Quella dell’altro Maestro che, a cena a casa mia, semplicemente mi chiede di insegnare a mia volta, ai miei allievi, quanto lui va diffondendo, di abbracciare il suo stile la sua Arte perché, correggendomi nel portare l’onda, vede che il mio praticare è proprio come e quel che lui vuole.
Quella degli occhi stupiti, e se ne accorge Monica mentre duetta con me, di chi mi sta attorno, in una palestrina sperduta in terra d’Emilia, poi viene a chiedermi dove e come ho imparato e se può raggiungermi a Milano per imparare a sua volta.
Quella degli scambi con atleti campioni, di molto a me superiori, che vogliono da me quello sparring deciso e senza fronzoli che altri non sanno loro dare.
Queste e altre, poche ma sentite, le soddisfazioni. Tutte strappate a forza, a fatica, da me che resto ancora oggi ospite poco desiderato tra gli invitati alla festa della buona motricità, che resto ancora a faticare e penare per carpire e capire un movimento e come meglio fare.
Soddisfazioni, queste sì tante, nel proporre, nel guidare chi entra allo Z.N.K.R., digiuno di qualsiasi pugno o leva articolare o già messosi alla prova da anni  con i guantoni del Full Contact o gli stili di questo o quel Karate.
Forse, l’allievo arriva solo per quella che altri chiamano fortuna ma io sto con chi ne nega l’esistenza, affermando invece che non è “fortuna” bensì  è l’intuito che incontra l’occasione, forse è la voglia di uscire dal gregge, forse è una banale paura di chissà quale aggressione, comunque ci godiamo il percorso, il momento di anni o di pochi mesi. Ci godiamo  tutto ciò che lasciamo e lasceremo ancora , e anche quel poco, ma così prezioso, che tra un pugno ed una bastonata, le sere nel chiuso del Dojo e quelle a praticare sulla neve o sulla spiaggia, una cena in massa e due chiacchiere tra pochi, schizzati sotto un cielo nero d’inchiostro, andiamo ad incontrare.
Perché non basta essere un buon praticante per essere anche un buon docente e ancor più complesso è essere un buon conduttore di un gruppo. Così mi beo, praticante concedetemi almeno discreto se non eccelso, di aver saputo trovare, tra errori e cadute, un modo così prezioso ed efficace per capire chi ho davanti ed accompagnarlo nel sapere delle Arti; di più, mi beo di aver saputo, con il contributo di tutti, ma proprio tutti, costruire un gruppo che è clan, che è famiglia allargata, in un posto che è sì Scuola e non solo palestra o club. Una Scuola di vita.
E vedo gli allievi, negli anni, crescere e molti altrove andare. Ma ovunque, resta loro addosso quell’imprinting, quel tocco che sa ed odora di Z.N.K.R., che, poco o tanto che sia, resta loro dentro e contribuisce a farli ovunque apprezzare.
Ora, tra maestri e docenti e professori e guru di ogni specie, guardo chi si arrampica sugli specchi, incauto esegeta di un parkour minore; chi, praticante magari ottimo, non ha niente di meglio da dare, agli allievi, che il suo sarcasmo e la sua boria a coprire l’incapacità di accettare il proprio malessere invece vomitandolo su chi davvero in lui crede e si affida per imparare, se tempo, energia e .. soldi gli va a dare; chi ripete monotono formule vecchie e vecchie panzane per continuare un tempo che è morto e sepolto e non ha più niente da dare; chi inventa, fa e disfa, apprendista stregone di  formule e pozioni che promettono ai calvi la ricrescita miracolosa dei capelli e ai grassi di dimagrire in un giorno solo.
Lo so, sarà che me ne sbatto della gloria, della fama e della riverenza di maniera; sarà che, scegliendo di non fare della docenza la mia professione, ovvero quel che da cui dipenderei per portare la “pagnotta” a casa, sono del tutto libero di scegliere sempre e comunque il meglio per i miei allievi, pochi o tanti che siano; sarà che di cialtroni, disgraziati, apprendisti stregoni, maestri italiani che parlano coi verbi all’infinito per sembrare giap, energumeni in tenuta militare che il militare nemmeno l’hanno fatto o se l’hanno fatto erano di presenza in fureria  o a marciare, campioni di un titolo guadagnato in mezzo ad altri tre concorrenti, se c’erano e quando c’erano questi tre, ne ho incontrati tanti; sarà che, come mi disse, più o meno, un amico ed allora allievo “Non è che sono diventato acido, è che, con gli anni che sono passati, non ho più tempo da buttare per le stronzate”; sarà per tutto questo ed altro ancora, che ai cialtroni e ai disgraziati, anche comprendendo che dietro la maschera da duro, magari portano un bambino ferito nell’orgoglio, forse da un padre assente o squalificante, portano una debolezza che fa quasi ( quasi) tenerezza, non ho più niente da dare. O poco, e in cambio di quel poco, ora sono io a volere molto.
 
“per il bambino gli adulti sono degli stronzi
per l’adulto i bambini sono delle piaghe
Per il genitore i bambini e gli adulti
sono dei disgraziati che devono crescere”
(G.C. Giacobbe)
 
Post illustrato con immagini del mio attuale ufficio
  
 
 

martedì 1 dicembre 2015

L’amore per se stesso


… finché non ti deciderai a crescere, ad avere stima in te stesso, a coccolarti da solo, non diventerai mai un adulto.
Nessuno di noi è come l’altro, né nell’aspetto né nel cuore; nessuno di noi vive come l’altro. Pare difficile ad accettarsi ma è così, che ognuno di noi canta e danza dentro un mondo tutto suo, dove le ombre, i chiaroscuri e le luci sfoggiano colori e tonalità diversi per ognuno. Poi, certamente, la melassa del conformismo ci avvolge tutti ( beh, quasi tutti ….), pecore in gregge per riti tutti uguali, beceri sostenitori del “pensiero unico”.
Ma ognuno di noi sa, anche se fatica ad ammetterlo, che è unico in questo mondo.
Qualcuno, ci prova a tenere testa, a vivere una vita di confine, fuori dalle consuetudini, ad attraversare il mondo incidendo segni e segnali in ogni cosa, in ogni relazione che incontra. Che appaia agli sguardi o si nasconda nell’antro della penombra, qualcuno c’è ancora a camminare solitario tra noi.

Impugnare un katana nel terzo millennio, italiani di nascita e di paese armati di acciaio    medioevale che viene dal Giappone: pare una follia, è uno sberleffo al conformismo imperante.
E’ imperio a mai dimenticare chi sei, perché sicuramente il mondo attorno a te non lo dimenticherà. Allora trasforma chi sei nella tua forza, riconoscendone l’Ombra, così non potrà mai essere la tua debolezza.
E’ sfida all’ovvio, allo scontato, che è tale anche quando si traveste di quell’eccentrico che è sempre fuga in un altro gregge, ancorché diversamente colorato: trasgressioni di consumismo materiale e culturale per una pratica dell’obbedienza.

Nel Dojo, i guerrieri in keikogi si muovono piano, portando in superficie, cuore che pulsa forte e mani potenti, il meglio che possono. Una pratica d’acciaio mortale che prende la mano, frugando in un cuore solitario che batte solo per ognuno di noi, per poi concedersi al cuore grande del gruppo. Minuscolo gruppo di ultimi rimasti a combattere per conoscersi, crescere e donarsi adulti consapevoli. Come probabilmente, da qualche parte, fanno altri gruppi a noi sconosciuti, ai più sconosciuti, perché anche loro come noi privi di belletto e cipria a fingersi star. Quel “belletto e cipria”, comunque li si chiami, atti a mistificare una qualità, a vendere un prodotto, come società dei consumi reclama.
“Belletto e cipria” per giustificare una personalità che non si è liberata di un padre castrante e disconfermante e perciò abbisogna di gonfiare il proprio ego e di squalificare chi ha accanto, figli, partner o allievi che siano, nella ripetizione di un “copione” servo e modesto; di celare la propria vulnerabilità dietro un trucco osceno e pesante, invece di farne la fragile forza intima del proprio cuore.

Se, come recitano i testi di scherma,  la lama è un prolungamento del tuo braccio, allora puoi forse lasciar cadere il tuo braccio ? Certo che no !
Così si lotta, nella sala di una Milano che sta altrove, dentro a duelli in cui nessuno mastica pietà, quando resti solo perché nessuno c’è ad abbracciarti e proteggerti, e ogni cosa, suono e gesto pare prendere il volo mentre tu stai volando sempre più giù. Fino a schiantarti al suolo per rimetterti in piedi e riprendere il cammino: cammino di spada e vitalità, di erotismo del vivere e frugalità dei costumi. Cammino di guerriero.

 

 
“Esiste un solo dio e il suo nome è morte. Ed esiste una sola cosa da dire alla morte: non oggi”
(G.R.R. Martin)








 

lunedì 23 novembre 2015

Museo degli strumenti musicali


Una Domenica mattina per me e Lupo, a soddisfare la sua richiesta di visitare il “Museo degli strumenti musicali”, sito nei bellissimi locali del Castello Sforzesco.

Una domenica mattina insieme: nessun impegno marziale per me, lo studio posticipato al pomeriggio per lui.
Un sole abbagliante, luminosi nuovi raggi dorati per mura vecchie, antiche, a rincorrersi dentro le ombre di scale e scalini. Poche persone tra le teche, nelle stanze che promettono incontri discreti e affascinanti.

Io non lo so se è così sottile il filo che tiene insieme quegli strumenti, il cui legno si colora di tinte autunnali, su cui è facile riconoscere la passione di mani artigiane votate al senso artistico e potente del fare, del costruire di mano propria per offrire all’altare dell’arte, del suono, una voce, una melodia.
Io non lo so se riesco ad essere dentro o fuori questa corrente di oggetti esposti che celano una vita vissuta, vita di studi solitari e pubbliche esibizioni, note ripetute all’infinito e cascate libere di musica denudata alle orecchie del pubblico.

So che Lupo è felice, curiosando tra violini e viole, strumenti a fiato e a pizzico.
Abbiamo lasciato alle spalle i cocci di stupida rabbia per niente, quel malumore che a volte ti avvelena le ore e nemmeno sai da dove venga, l’invidia che ti sputa addosso la gente e quel loro denigrarti acido, quel darti dello scarso, dell’incapace, solo per nutrire un loro ego strabordante e maniere da capitan Fracassa. Abbiamo lasciato alle spalle quello stesso nostro orgoglio che ci impedisce di apprezzare il quotidiano e con esso, il tempo che si allontana per non tornare mai.

Ce la godiamo alla grande, io e lui, scoprendo che del mandolino, col “napoletano” esiste anche il “milanese” ed il “romano”, e chissà mai quale sarà la differenza; incantati davanti alla maestosità di un clavicembalo e curiosi di capire di corde nascoste dentro un manico.
I silenzi tante volte già intrecciati tra di noi, a sottendere parole che sappiamo superfluo usare, e le domande tra di noi, che si sovrappongono nel tentativo inutile di colmare ignoranze grandiose come cattedrali.
Un paio d’ore e più di un padre con suo figlio, di un figlio con suo padre. Immersi nel mondo antico dell’arte che è musica.

Poi ci ricongiungiamo con Monica, per una pizza da “Fusco”. Quei pizzaioli che, accanto alla palazzina Liberty, per molti anni deliziarono una parte di Milano e decine e decine di giovani convinti di cambiare il mondo in un pugno di giorni, sono tornati in un minuscolo locale in via Cadore, accanto al nostro Dojo. Lì, pizza e birra a raccontare a Monica di una Domenica mattina di avventure e curiosità, di arte.



 

 

 

martedì 17 novembre 2015

Le mani che ci sono



Raduno Kenpo  Taiki Ken
Sabato 14 Novembre

 
Gruppo Kenpo
Tra spicchi di sorriso di rari passanti frettolosi che si perdono tra i vialetti, entrano a scaldarsi in un bar, si celano dentro un cellulare gracchiante, spuntano i nostri visi, le nostre mani, pronti ad indossare una  giacca blu e lasciare che il cuore sotto batta sempre più forte.

Piccolo gruppo di “artisti guerrieri” del Kenpo.
Per effetto del tempo che scorre e forse anche del tempo che, filtrando tra le finestre, è sole e luce e cielo azzurro macchiato di bianco, l’effluvio di corpi e gesti  si rivela un moto di marea  che scende in ognuno di noi, occupa spazio e tempo, mostra accoglienza e durezza, forza e vulnerabilità, rabbia e gioia.  

Un lento riversarsi, Kiko, pratiche di salute ed ascolto profondo. Nessuno può seppellire il cuore. Tuttalpiù fingere di dimenticarlo. Come se non si stesse male  nelle stanze della solitudine, quand’anche affollata di amici facebook, televisione e passatempi che sono sempre più “sprecatempi” quotidiani; come se non si stesse male a camminare a vuoto tra direzioni che ingolosiscono per poi mostrare il “cul de sac” che non da scampo; come se non si stesse male a consolarci da soli nelle giornate in cui cerchiamo e non troviamo altre navigazioni.
Kiko che è un susseguirsi di “reverie”, fantasticherie ed immaginazione su alberi immensi, fanciulli in preghiera dinanzi al Buddha, uccelli notturni a dispiegare le ali.

Poi le gesta antiche, che ancora sanno di lotta e di scontro, Bujutsu, a sconfiggere un avversario che somiglia tanto, troppo, ancora a noi.
“Artisti guerrieri” amanti del silenzio, che sanno di non appartenere a nessuna di queste guerre esposte e mostrate se non alla propria, che è guerra, conflitto di conoscenza e trasformazione e non di potere sugli altri.
Calci e pugni e proiezioni al suolo. Visioni reali di gesti concreti. Nessuna tiepida illusione, nessuno scampo, che un abbraccio non può farci scomparire né un insulto affermare, una maschera copre solamente ma non toglie ciò che siamo e mai ci sarà concesso di rinascere per incontrare di nuovo la dolcezza di una madre o di un padre.
Allora solo arte del confliggere, per “artisti guerrieri” che oggi si incontrano accettando di camminare a testa alta, un sorriso, una risata condivisa, come gesto più prezioso per voler bene e farsi ricordare, senza paura  di sbagliare perché questo ci aiuta a crescere ed imparare e a credere nel meraviglioso dono che ci è stato dato: vivere. E, mani e cuore che ci sono, vivere da artista, da guerriero.

Poi, il tradizionale rinfresco di fine Raduno, occasione lieve per festeggiare, ancora una volta insieme, il mio compleanno, i miei sessantaquattro anni.
I primi a festeggiare, poi .... arriveranno altri amici ed amiche
 
"Lu - il procedere: Contenere l'Animus negativo ed essere gentili, amabili, perché così si domina anche gente aggressiva"
(I Ching)

 






lunedì 9 novembre 2015

Colui che danza la danza dell’acqua e del vento


Nel corso della vita  ognuno di noi diventa ciò che è. Lottare per realizzare la propria esistenza significa lottare – secondo il lessico di Heidegger – per l’autenticità”
(M.J. Sigrist)

 

Eudaimonia, strana parola che emerge dal lontano passato del mondo greco, a significare benessere, prosperità.

Mi ritrovo eterno studente  perché la materia di studio marziale è infinita come infinite le vie ed i viottoli del vivere e poi  perché so di sapere poco se non niente. Io che mi chiamo eretico e, con una punta di orgoglio vacuo, “L’ultimo degli indipendenti”.
Un tempo, tempi di un amore incondizionato, di primo figlio adorato e di mostri rifiutati che nutrivo di malavoglia, mi piaceva “stralunato stregone sognante”.
Ora non so, di me e di come sono, un amore che non luccica nell’oscurità ma vale oro, un altro figlio che è pulsazione vitale, quei mostri con cui sono finalmente venuto a patti e la barba bianca a ritagliare le rughe del volto.
Artista marziale e d’equilibrio fragile e precario nel vivere, mai vergognandomi di essere e fare il mio mestiere.
Che benessere e prosperità siano il pane quotidiano, annusato, mangiato, di una pratica Tai Chi Chuan che è acqua che scorre, che è vento che scorre.

Sarò irriverente a guardare col naso in su i profumi ed i colori di tutto il mondo, a calpestare un terreno che è madre di me e di tutti noi, sarò pauroso a chiedermi quanto cresco e quanto insieme invecchio, in quest’avventura che è più grande di me ma io la percorro ogni giorno, ogni giorno a danzare la danza dell’acqua e del vento che è Tai Chi Chuan.
So che per vivere è necessario che il sentimento e le emozioni siano ampi e profondi come il mare, come il mare calmi nella quiete e possenti nella tempesta; siano alti e solidi come la montagna, come la montagna violenti nelle slavine e subdoli nei crepacci; siano legna da ardere che dà un fuoco grande  ma se non lo foraggi sempre, presto si spegne; siano freddo acciaio tagliente ma se non lo lucidi accuratamente, lo sporco della ruggine ne soffocherà ogni abilità.
E, difficile per me, bisogna saper perdonare perché ciò faccia rima con amare, avendo il coraggio anche, quando occorre, di trovare la rima di parole ed azioni con odiare e violare. Soprattutto, lottare.

Per come io la intendo, la vita non è uno spettacolo di muscoli e pacchiano apparire col sottofondo di musiche da consumare e subito dimenticare. Il tempo e le energie e la passione che ci spendo è una lenta emorragia  che niente e nessuno potrà fermare.
Allora danzo, per come posso, tra le onde della vita. Danzo, per come so e posso, sui ritmi del mio Tai Chi Chuan, quello che la sera offro agli amici ed allievi Davide e Giovanni, tra le mura solide di un locale che odora di sudore e passione maschia.

Eudaimonia, antica cultura greca a noi così vicina, spericolato accostare ad un’arte nata sulla via della seta e oggi praticata da me, anziano milanese venuto alla luce il giorno, mese ed anno di quella che fu una delle peggiori, se non la peggiore, tragedia ambientale italiana.
Voglio, così, regalarmi un tramonto lungo e tinto di rosso acceso, in cui campeggi una stella dalla scia irriverente, una luce seminascosta che, nata da dentro, incontri chi mi sta accanto. Una luce, una fiamma, un colore scintillante  che scavalchi ogni confine, una danza dell’acqua e del vento che io chiamo Tai Chi Chuan a comporre i versi della mia libertà, a proporsi, oggi qui allo Z.N.K.R., domani non so, per ogni libertà che altri vogliano incontrare.




 

mercoledì 28 ottobre 2015

Incanti e incantesimi nascosti


“Vi sono state date in dono due estremità: una perché vi ci sediate sopra e l’altra da utilizzare per pensare. Il successo nella vita dipende da quale delle due avrete utilizzato di più”
(A. Landers)

 
De Amicis 17. Primo cortile

A volte mi pare un sorso d’acqua tra le dita, scivola via e niente e nessuno potrà fermarlo.
A volte, basta aprire una porta, svoltare un angolo e l’incanto appare.
Anche in una Milano che dicono grigia e brutta, anche in una Milano che io so grigia e brutta.
De Amicis 17. Secondo cortile
Eppure, io non voglio mai riempire i miei occhi di quei sogni che non sanno emozionare. Così, e nulla accade per caso, dietro ad un portone varcato per obblighi burocratici, associativi, un po’ rivedo un po’ scopro dal nulla angoli ed ombre, alberi e prati, bianchi muri lisci e resti archeologici di quanto le mani dell’impero romano costruirono qua, duemila anni or sono.

Incanto di pace, incanto di un passato lontano, remoto, a ricordarmi di essere solo un granello di sabbia nel deserto sterminato, ad ammonirmi che nessuno è invulnerabile ma anche a mostrarmi che ogni granello, insieme al vento, può spostare paesaggi, ogni granello può ospitare scorpioni velenosi e rivoli d’acqua sotterranei.
Mai sottrarsi al proprio impegno, alle prove di audacia, disposti a chiedere al meglio del proprio cuore
De Amicis 17. Parco dell'anfiteatro romano
una guerra di coraggio e dignità.
Incanto di angoli quieti e nascosti, dietro un anonimo portone di legno, mentre fuori stridono i freni e lacerano l’aria i catarrosi motori di una Milano rampante e sempre affannata.

Basta aprire una porta, anche piccola e sconosciuta, come la nostra, dello Z.N.K.R., per scoprire un  minuscolo mondo di uomini in lotta. Uomini guerrieri che ne fanno di strada, lasciando una ginnastica d'obbedienza per un gesto semplicemente umano che ha il sapore della violenza, dentro e fuori.
Spirali di gesti, incanti trovati che sottendono pratiche dimenticate  di incantesimi che si fanno sempre più ampi e profondi. Impossibile comprenderli tutti, forse nessuno mai comprenderà chiudendolo l'ultimo, ma ogni guerriero ci vuole provare.
Anche se l’acqua da nulla si fa imprigionare e ovunque fugge, lasciando solo flebili tracce che il tempo nasconde e scompare, lasciando solo dita di uomo protese nell’aria.

Ah, è cosi bello aprire una porta o un portone, dentro questa città di cemento a scoprire mille cuori ed affetti e ricordi ancora pulsanti; aprire una piccola porta di scuro legno e scoprire che ognuno può lottare per svegliarsi dal sonno, spezzare il “pensiero unico” e vivere.
ZNKR Kenpo Taiki Ken

 
“Quando mai si pretenderebbe da un cigno una delle prove destinate al leone? In che modo un brano del destino di un pesce si inserirebbe nel mondo del pipistrello? Pertanto fin da bambino credo di aver pregato soltanto per la mia difficoltà, che mi fosse concessa la mia e non, per errore, quella del falegname, o del cocchiere, o del soldato, perché nella mia difficoltà voglio riconoscermi”
(R.M. Rilke)

 




ZNKR Wing Chun Boxing

lunedì 26 ottobre 2015

Un grande dono


Seminario Kenshindo. Sabato 24 Ottobre

 

“Tutti coloro che ascolteranno le nostre grandi gesta si interrogheranno e diranno, pienamente convinti, che nella lunga storia della nostra lotta questo è stato il periodo migliore”
(S. Scarrow)

 
Il clan guerriero
Star dietro alle cose della Scuola, la nostra Scuola, è diventato sempre più difficile.
Tanta passione, e sudore e fatica e sorrisi e imprecazioni e incontri che diventano scontri per poi tornare intensi ed emozionanti incontri, è stata diffusa tra la distesa colorata dei tatami e le calde tonalità del canniccio.
Tuttavia, né l’amore per l’Arte né l’impegno costante, quotidiano, sono riusciti a far sì che degli allievi che se ne andavano, altrettanti ne prendessero il posto, a nascondere i vuoti, sempre più numerosi, nella fila al saluto.
Eppure, ancorché pochi, pochissimi, ogni sera come ad ogni Raduno o Seminario, noi ci siamo.

Gekken
Baluginare d’acciaio, per corpi che scivolano tra le trame fitte del sole e le chiazze d’ombra; fruscio di hakama, la lunga gonna del samurai, a segnalare il pericolo e l’agguato.
Un cammino senza posti definiti in cui andare, a prendere soltanto il primo viottolo e chissà dove ci porta.
Consapevoli che siamo chi siamo, ora, ma chissà cosa resta di noi, cosa resta dopo aver sfoderato l’acciaio, dopo aver masticato il dolore e la gioia, dopo aver simulato uccisioni e ferite mortali.
Praticare comunque è gioia, anche nei fendenti che sibilano nell’ampia sala del dojo, nelle falciate ascendenti in cui il kissaki del katana punta dritto verso le vetrate malamente rattoppate eppur degnamente dipinte dal nostro Giovanni.

Kenshindo, la “Via dello Spirito della Spada”.
M° Giuseppe e sullo sfondo Donatella

Certo, come fai a spiegare al curioso di turno che impegni tempo, energia e soldi ad impugnare una sciabola come se fossi un guerriero del medioevo ? Che, nel rapido ed elegante sfoderare, preludio alla morte certa tua o degli occhi e del respiro che hai di fronte, convivono, alchimia folle e grottesca, il sorriso del bambino e la crudeltà dell’assassino ?
Quante volte abbiamo attraversato il confine tra l’abitudine umana e l’attitudine predatoria, quante volte ancora lo passeremo, qui o altrove, scoprendo senza sorpresa che ogni volta è un colpo all'anima, uno strappo al cuore.

Lama Danzante
Le stuoie di paglia, corpi anonimi di anonimi “nemici”, davanti ad ognuno di noi. Dolorosa ed insieme inebriante capacità di riconoscere, in ognuno di essi, la parte più tetra, più malamente ingombrante, di ognuno di noi. Tameshigiri, il taglio della stuoia, come apice, come apoteosi, di una pratica marziale che è terapia di conoscenza ed individuazione, che è crescita adulta.

Sapore amaro certo, sapore di fatica dentro, ma, insieme, mai disgiungibile, gusto vivace di vivere, di libertà, di scambio tra esseri umani vivi. Di piacere e financo divertimento. Per uomini e donne che non sono né santi né asceti, apprezzano la buona musica ed il buon bere, qualche volta mentono e altre ficcano il naso in faccende non loro, sanno distrarsi per un nonnulla e scorreggiare vergognandosene un poco, affollano rumorose tavolate al ristorante e visitano città d’arte. Come te, come tutti. Solo che, andando e venendo, fermandosi e ripartendo, cercano un senso al proprio esistere al mondo, un senso che, a volte sorridendoci altre facendosi malamente beffe di noi, alla fine è tutto qua, in questo stare qui e ora.

Silvano e l'acciaio
 “Non possiamo indurre deliberatamente il cambiamento, né in noi stessi, né negli altri. Questo è un punto decisivo: sono molti quelli che dedicano la propria esistenza a realizzare una loro concezione di come ‘dovrebbero’ essere, invece di realizzare se stessi”
(F. Perls)

Tra uccisioni e ferite





 

mercoledì 14 ottobre 2015

Le parole che danzano


Martedì 13 Ottobre, in Dojo

 E’ festa. Piccola, tra pochi, ma sentita.
C’è, tra di noi, chi ha ormai cuore e corpo nel passato e chi sta dritto nel presente.
Non so, nessuno di noi sa,  quanti dei presenti siano guerrieri del quotidiano vivere e quanti restino a guardare il tempo che scorre loro tra le dita, e a me non importa niente di saperlo.

Qualcuno riempie i bicchieri di vino e io invito a berlo.
Forse, nessuno di quelli che lottano e cadono e si rialzano e sono qui a festeggiare un passaggio di grado, uno scurirsi di cintura, è tipo da accostarsi facilmente alla felicità. Però, guardandoli negli occhi, una voce dentro mi dice che qui, allo Z,N,K,R,, tra pugni e cozzar di acciaio, hanno potuto scoprire  che sta a solo a loro non cadere nel tranello, nelle fauci sporche del mostro che li invita, una volta loro davanti, anziché a combatterlo e a cominciare daccapo se occorre, a colludere con lui, a divenire come lui.
Loro hanno imparato che vivere è ottenere il meglio da ciò che incontri lungo il cammino, perché un uomo che non sia contento di ciò che ha, probabilmente non lo sarebbe nemmeno di quello che non ha. Poi, solo poi, può voltarsi altrove e lottare per altro.
Non so, tra chi oggi è qui e chi da tempo se ne è andato, sovente inanellando scuse e piccole bugie e rinviando un confronto franco prima di tutto con se stesso “mi sto attrezzando per venire”, “fra tre mesi riprendo”, “ mi prendo un anno sabbatico”, “non ho i soldi né il tempo”, soffra  quel buio che ha preso il posto del coraggio di vedere, di ascoltare, di lottare.
So che qui insegniamo, se mai si possa insegnare, a non parlare sotto voce o nel chiuso delle stanze, ma a cantare di libertà e lotta e guarigione.
Mentre Annalisa sorride lieta e Davide e Celso se la “contano” alla grande, gli altri attorno, la bocca piena e il bicchiere anche, mi chiedo come sia accorgersi di non sapere dove andare quando il mondo ti sembra darti addosso e tutti attorno a te ti chiedono di tirare fuori gli “attributi”, le palle. Come sia sapere, perché ogni uomo lo sa, che non si vincono le battaglie, gli scontri, i drammi, che si vogliono perdere.
E, forse, è questo il grottesco paradosso di questo nostro praticare, sempre in meno eppure sempre più coraggiosi e decisi.
Anche perché, suonerà sprezzante ai più ma io ci credo, solo ai lottatori, ai guerrieri, è concesso essere generosi.

La serata si chiude, raccogliamo piatti e bottiglie ormai vuote.
Ognuno per la sua strada. Ognuno, ne sono certo, sa come e dove sta andando. Ognuno, col permesso accordato dal proprio destino che invero sta costruendo con le sue stesse mani: “Gli essere umani non sono semplicemente codardi o eroi, si è entrambi e nessuno dei due a seconda delle circostanze. A seconda di chi è dalla tua parte, di chi invece è contro, a seconda della vita che hai vissuto. A seconda della morte che intravedi in attesa” (J. Abercrombie).