martedì 27 maggio 2014

Raduno ed Esami Kenpo bimbi / ragazzi

Domenica 25 maggio, giardini di P.ta Venezia. Milano

Le immagini, quelle scattate da me e quelle da “papà” Fabrizio, a commentare da sole la mattinata di gioia e sudore che ha visto coinvolti i bambini ed i ragazzi del corso Kenpo.
Le immagini, che più di cento e cento parole, mostrano il minuscolo clan dello Z.N.K.R. all’opera. Formazione marziale come strumento di conoscenza, crescita ed individuazione per piccini e … per grandi; come momento di collettività, di comunione tra individui diversi tra di loro, diversi per età e ceto sociale e scelte professionali, diversi quanto uniti nel trovare un punto di incontro nel nome di un presente fragile ed innocente quale è l’età della fanciullezza, un presente che già mostra i primi segni di turbamento e inquietudine nell’età della pre –adolescenza. Chi genitore, chi docente, chi in ambedue i ruoli.
Formazione marziale, dietro la cui apparenza giocosa, chi ha voluto ha saputo distinguere il vento della provocazione audace a mettersi a nudo, a penetrare tra difese intellettuali, ruoli e maschere incollate sul viso, per scoprire quale adulto siamo per quei giovinetti, sudati e stravolti, che rotolavano sulla ghiaia, si inerpicavano sulle rocce, tiravano di pugni e di calci.
Formazione marziale che, per quegli stessi giovanissimi praticanti, altro non era che occasione di confronto e sfida alla qualità del crescere, tra ombre di nani deformi illusi di essere a immagine e somiglianza di chissà quale dio onnipotente e il coraggio di essere semplicemente se stessi ed amarsi per quel che si è, e lottare per migliorare quel che si è, ed aprirsi con coraggio e sincerità alla relazione con quel che è l’altro accanto  a noi.
Immagini, meglio di parole.
E se proprio volessi ricorrere a parole, ricorrerei a quelle di Aldo Novara, pedagogista da anni impegnato sul versante dell’educazione di bimbi e ragazzi e degli adulti che sono loro accanto:
Costruire una capanna nel bosco, camminare scalzi tutto il giorno, saltellare in un torrente.
I nostri figli, dopo un anno passato in ambienti chiusi e in città, hanno bisogno di tornare alla natura, di inselvatichirsi, di sporcarsi con la terra e il fango, annusare profumi ed odori, toccare sabbia, legno e sassi.
Perché stare nella natura stimola l’intelligenza, rinforza le difese immunitarie ( è dimostrato che l’aumento delle allergie dipende anche dal fatto che i nostri bambini trascorrono troppe ore al chiuso ed in ambienti artificiali ) e fornisce competenze preziose.
E noi adulti, che abbiamo perso questo contatto, non dobbiamo avere timori. (…)
Non è necessario buttarsi nei Parchi avventura: qualsiasi ambiente, dalla pineta alla spiaggia, dalla montagna al giardino, offre mille occasioni di esplorazione per i nostri figli. E poi giocare nel verde dà equilibrio, permette di connettersi alle nostre origini ancestrali, di quando l’Europa era coperta di foreste. E il cucciolo umano ha bisogno di ripercorrere nella sua vita le tappe dello sviluppo dell’umanità. Naturalmente è bene procedere per gradi, non si può guadare scalzi un fiume la prima volta che si esce di casa. Ma, pian piano, i bambini diventano più forti, più abili, più svegli”.
Che questa mattinata di formazione marziale sia solo un tappa nel continuo confrontarsi con la natura ed il selvatico, immenso o modesto che sia, paesaggistico o emotivo che sia, quello fuori e quello dentro ognuno di noi.
Per crescere.











martedì 13 maggio 2014

La Notte del Guerriero: la formazione marziale

Sabato 10 Maggio è arrivato: otto ore di formazione marziale “non stop”, dalla mezzanotte alle otto della Domenica.
Eco quanto è successo, secondo me.
Attendo i commenti di chi ha voluto esserci e, perché no ?, anche di chi ha scansato l’evento.


La nazione che insiste nel tracciare una netta linea di demarcazione tra l’uomo che combatte e l’uomo che pensa, rischia che le sue lotte siano condotte da folli e i suoi pensieri siano formulati da codardi.
   ( William F. Butler )

Il serpente di auto si snoda lungo la strada che ci porta a la “Corte Ghiotta”, dove affronteremo la nostra “Notte del Guerriero”.
Splendido l’Agriturismo, gentile l’accoglienza, sereni i nostri preparativi, tra tiro con le freccette, partite a calciobalilla o tennis tavolo, sguardi lunghi sull’orizzonte tinteggiato di rosso, i cavalli, l’agitarsi festoso del cane, il vento che soffia sempre più forte.
Brevi ma intensi lavori sulla muscolatura profonda e il tessuto connettivo. Elementi fondamentali per il nostro vivere ed agire, che, quando non riconosciuti, non stimolati, non solo limitano le nostre prestazioni motorie, ma anche l’espressione emotiva che da lì è originata.
Poi Peng, “come un pallone che galleggi sull’acqua”, e l’immaginazione a guidare i movimenti, ampi, sferici e spiraliformi. E la leggerezza nel movimento che cela la potente ferocia del predatore.
Il tutto si innesta negli spostamenti del Kenpo, nei suoi giochi di attacco, nelle sue vigorose mani in faccia. Come un tempo dilatato, in cui gesta ed azioni paiono attraversare l’aria a fatica, lentamente, e tu osservi, respiro basso e profondo, e tu agisci mandando in mille pezzi l’attacco, sgonfiandolo come un vecchio e consunto pallone di calcio.
Le ombre degli alberi sono vertebre deformi nel tappeto erboso, la luna torreggia gialla bucando il cielo nero. Corpi ed emozioni si incontrano e scontrano, assaggiando l’asperità del combattimento corpo a corpo.
Preludio intenso all’incontro sgradevole con l’acciaio del coltello.
Sapore amaro, sguardi induriti. Chi si è stupidamente illuso giocando con un simulacro di legno o plastica, con un “coltello d’allenamento”, ora sente il suo silenzio urlare, quando l’acciaio scorre, pericoloso e famelico, sulla pelle del viso: ora impugniamo il coltello, quello vero, quello che lacera carne e trafigge corpi.
Simile ad un danzatore che sfiori volutamente, volutamente evitandolo, il baratro giù dal palcoscenico, l’acciaio della lama volteggia per l’aia, incontra corpi, incontra mani che fuggono e altre lame che tentano di insinuarsi per ferire, per sfondare.
Gli sguardi sanno anche loro d’acciaio, in questo mondo che è fatto di uomini e donne guerrieri: il nostro minuscolo mondo notturno qui, tra le mura bianche, i ciottoli, l’erba e il vento che non smette di soffiare.
Nessuno si è ferito, nessuno ha versato sangue. Bene così. O forse sì, ma sono ferite che l’occhio non vede, è sangue che non sa di fluido rosso. Sono ferite che odorano di profondo, è sangue che sa di emozioni e turbamenti.
Ora è il momento del katana: l’arma regina dei samurai.
Acciaio lungo e ricurvo, rapidamente sfoderato e lanciato, sibilando, nell’aria. Acciaio che impegna lo spadaccino ad accettare di dare la morte per salvare la vita, senza se e senza ma, senza possibilità di ritorno, di riporre l’acciaio nel saya, il fodero, se questi non si è intriso di sangue di un altro essere umano.
Metafora cruda in un mondo imbelle che sa di finto,  dove la voce dei mediocri è inarticolata ma assordante, deboli comparse che si credono attori perché sciorinano un “selfie” dopo l’altro, che infestano i social network ad ogni ora lasciando le tracce di ogni loro inutile passaggio: in un ristorante o in una piazza, ad una festa o ad una gita. Comprimari in ogni biografia altrui, e, quel che è più scioccante, comprimari nella loro stessa biografia. “Omer Simpson” più che “homo sapiens”, goffi guitti alla disperata ricerca di un’automobile più grossa, di una casa più grossa, di muscoli più grossi, per il timore di scomparire, di non essere notati. Votati alla ricerca del successo materiale, mentre la “Via dello spirito della spada”, Kenshindo, offre dignità e frugalità, offre valori semplici triturati e maciullati dal post-capitalismo, dalla decadenza morale.
Il Tameshigiri, il taglio della stuoia, pone ognuno di noi di fronte all’atto unico, irreversibile. Scegli di vivere o di morire ? Quanta forza nel tuo cuore ? Poi, non importa il risultato, quando vedo chi, al solito, sfoggia mazzate tamarre, mostrando la fragilità di chi non sa accettare la responsabilità e la condivisione.
Volti tesi, animali feriti ed animali bramosi di uscire allo scoperto. Le stuoie a volte cadono al suolo, a volte si oppongono, o forse è la lama che non ha deciso realmente quale ramo secco, quale zavorra di sé, tagliare, uccidere o, semplicemente e dolorosamente, riconoscere.
Al saluto finale, un passaggio kyu, la marrone a Giovanni, e tre passaggi shodan: Alessandro, anima gentile che non vuole vedere cosa bolle in pentola, Davide, quanto curioso di sé e quanto spaventato di sé, Angelica, fragile e forte donna guerriera ora giunta sul crinale della montagna, un crinale troppo esile per attardarvisi.
Poi, la ricca colazione, con la “chicca” all’inglese: bacon, wurstel, uova. E il sole e il cielo grigio che ne offusca la potenza, e le chiacchiere, ed i volti assonnati che otto ore di formazione marziale si fanno sentire. Ed i saluti agli ospitali gestori dell’Agriturismo, e quelli tra di noi.
L’avventura, la nostra avventura, continua.


“Ma i veri viaggiatori partono per partire;
 cuori leggeri, s'allontanano come palloni,
 al loro destino mai cercano di sfuggire,
 e, senza sapere perché, sempre dicono: Andiamo!!”
(C. Baudelaire. Stralci di “Il viaggio”, dalla raccolta “I fiori del male”)













lunedì 5 maggio 2014

Un fine settimana di pausa. Da chi ? Da cosa ?

“ Ho odiato ogni minuto dell’allenamento, ma mi dicevo ‘Non smettere. Soffri oggi e vivi il resto della tua vita come un campione’ ”
(Muhammad Alì)

Sempre bella la Liguria, i suoi paesini, le rocce e le case incastonate a picco sul mare, i colori intensi e le ombre misteriose che lasciano gli alberi.
Il tempo fa di suo, tra brevi rischiarate e scrosci di pioggia e vento che ci costringono a casa o a uscite improvvise.
Freddo e umido. Io, che già ho lasciato Milano carico di raffreddore e tosse, non ne traggo certo giovamento.
Ciò non mi impedisce di avvolgermi tra le calde, potenti e fluttuanti spire del Tai Chi Chuan.
Mi allungo, mi raccolgo su me stesso. Disegno traiettorie ellittiche nello spazio.
Lo spazio.
Nel grande come nel piccolo.
Da Copernico, che rivoltò come un guanto le concezioni di Tolomeo, ponendo la terra in subordine al sole, astro centrale, sommo “rais” del cielo e delle stelle, a Keplero che completa l’opera di scardinamento copernicano mostrando uno stuolo di pianeti ruotare attorno al sole procedendo per orbite ellittiche. Ed ognuno di loro a ruotare sul proprio asse.
Rotazioni continue, in assenza di spigoli, frizioni o intoppi; curve dentro altre curve e volume e movimenti spiraloidi: come a dire, a fare ….circolarità, che è sia ritorno che continuità, insieme a linearità, che è discontinuità … percorso, movimento che pur “tornando” si evolve e si trasforma.
Curve, spirali che si sprigionano nell’aria fredda del piccolo giardino, danzando Peng Lu Ji An.
Ontogenesi e filogenesi.
Il mare. Onde su onde, piccole e continue, lambiscono la terra di sabbia e ciottoli.
Lupo scava e costruisce, costruisce e scava, pantaloni alzati al ginocchio e mani lordate da terriccio e pietruzze.
Chi sono io?” Mi interrogo. E mi rispondo “Io sono molti”.
Sono il padre premuroso che affianca Lupo nell’ordinario lavoro dei compiti, accoccolati dentro la piccola cucina a ridosso del giardino.
Sono l’uomo solo (Monica, la sua amica, Lupo ed una vivace adolescente, alla volta di Genova e di un diversivo che non troveranno) che erra sul molo, tra sconosciuti frettolosi che scansano la pioggia.
Sono il predatore che, come un animale affamato, torna sempre sul terreno di caccia intriso di sangue.
Una merenda, sempre in solitario, le pagine di un libro che corrono  rapide verso la fine.
Per un nuovo inizio.
Cose dentro altre cose del mondo e di ognuno di noi.
Come le fluttuanti movenze del Tai Chi Chuan. Come gli archi assassini che traccia la lama del katana.
La sera, un sole giallo fuoco ci incontra, mentre attraversiamo Santa Margherita Ligure, poi Camogli.
Un ristorantino incassato sul pendio della montagna, due passi per i vicoli, tra gli schiumi delle onde, la notte che scivola lentamente nella gola del buio.
Sabato, ancora vessati da freddo e vento, lasciamo Rapallo. Si torna a Milano, si torna a casa.

“Persino oggi, non oserei dire di aver raggiunto un qualunque stato di realizzazione.
Sto ancora imparando, poiché l'apprendimento è illimitato.
Essere un praticante di Arti Marziali, vuol dire anche essere un praticante dell'Arte della Vita”
   ( M° R. Baccaro )