giovedì 16 gennaio 2014

Di nuovo in gioco

Un paio d’ore solo a casa, in attesa del rientro di Lupo.
Occasione ghiotta per vedere uno dei tanti film che ho in “parcheggio”, vuoi perché troppo violenti, vuoi perché troppo “seri” per condividerne la visione con un cucciolo di nemmeno dieci anni.
Scelgo “Di nuovo in gioco” pellicola del 2012, splendidamente interpretata da un “mostro sacro” come Clint Eastwood.
La commozione sale più e più volte, gli occhi si inumidiscono, mentre vedo scorrere, sullo schermo, immagini e conflitti tra padre e figlia, l’invecchiamento inarrestabile del primo, l’affacciarsi al successo professionale della seconda, in un clima, tra i due, di ricerca e rimbalzo, avvicinamento e incomprensione.
Film che, grazie alla metafora dello sport e della sfida sportiva, permette allo spettatore  di capire i confini, ed il diritto, di ognuno di essere come è, quello che è, senza per questo alienarsi la relazione con l’altro. Relazione conflittuale, anche aspra, ma pur sempre un “annusarsi”, uno stare insieme per come si riesce.
Certo, perché ciò avvenga, occorre scrutare nel proprio passato, mettere coraggiosamente le mani dentro di sé, accostarsi alla propria Ombra, pur inquietante che sia, aprirsi ad emozioni e sentimenti mandando a volte “in soffitta” logica e pensiero, pena lo sguazzare nell’anaffettività arida e desolante.
Film che, giocando sull’imminente cecità del protagonista, offre squarci di spazio sull’uso degli altri sensi, primo tra tutti l’udito. Come a dirci che ciò che ci appare alla vista non sempre è il cardine per ogni nostra scelta e che c’è altro, di sotterraneo, di intimo, di personale, a cui potremmo affidare le nostre scelte.
Film che ci offre pure un nostalgico, ma non insensato, confronto tra l’aridità della macchina, dei numeri, delle percentuali e la vivida incertezza emotiva del proprio “sentire”, dell’esserci fisicamente, con tutta l’approssimazione che ciò comporta in scelte e decisioni. Condizione quest’ultima indispensabile perché quelle scelte abbiano un cuore ed al cuore, alla “pancia” dell’altro sappiano risuonare.
Probabilmente, un finale “buonista” depotenzia parzialmente il film, ma è una produzione U.S.A., con lo sport ( il baseball ) a reggerne la trama e, dunque, l’happy end è di rigore.
Poi, nel finale, mi piace comunque che la protagonista femminile, nello scegliere (e lasciarsi scegliere) il partner per una storia d’amore, lo trovi in un aitante giovanotto in cui sì vivono alcuni tratti paterni, ma in questi, contrariamene al genitore, sia presente la capacità di aprirsi emozionalmente, di condividere incertezze e paure. Non una “coazione a ripetere”, un pedissequo imprinting paterno sotto altre spoglie. Infatti, in quel giovanotto, lei trova i forti e maschi tratti paterni, ben coniugati con la disponibilità a stare nei conflitti emozionali, ad accettare e condividere il loro disordinato succedersi.
Beh, un bel film, in cui , a tratti, ho rivisto sprazzi delle mie attuali difficoltà a relazionarmi con mio figlio Kentaro, relazionarmi ad un suo passato, da cui mi tenne lontano il “cartellino rosso” subìto ad opera di una moglie un po’ disinvolta nelle scelte, che ritorna nei suoi discorsi attuali, nelle sue logiche di relazione con me, ci ritorna colorato di tinte non facili, spesso fastidiose e corrucciate.
Un film che, col senno di poi, avrei potuto anche proporre a Lupo. Meglio così, però, altrimenti sai come mi avrebbe sfottuto per tutti i miei momenti di commozione !!

Un film che, come sempre per questo genere di pellicole, consiglio a tutti i padri, a tutti i maschi che si sono voluti dare nella filiazione e, con ciò, ad un figlio hanno voluto dare l’incredibile piacere del vivere. E a tutte le donne, perché, se mai ne avessero dubbi,  leggessero la potenza e il coraggio che alberga, nascosto o meno, nel maschile. Purché disposte, s’intende, ad accoglierlo.


mercoledì 8 gennaio 2014

In cammino, insieme.


Non mi interessa più di tanto
come cambia il tuo corpo mentre pratichi.
Quello che mi interessa
è come cambia il modo di trattare i tuoi figli
quando torni a casa.
( Baba Raba )


Spesso ho scritto del metodo con cui accompagno / guido i praticanti lungo il percorso marziale. Un metodo maieutico.
Niente apprendimento di tipo “scolastico”, dal detentore del sapere a colui che lo ignora; niente apprendimento nozionistico e ripetitivo, che si mostra come acquisizione di contenuti.
Piuttosto:
L’appello alla motivazione e alle risorse di ciascuno, come spinta alla scoperta, al superamento di ogni frontiera: “Ogni frontiera, per me, è come un coagulo in un’arteria”. ( M° Mochizuki Hiroo ).
La gradualità come aggregazione dialettica e insieme sostenibile di competenze e capacità.
Il gruppo come forma di espressione e, insieme, contenimento dell’agire di ciascuno. Infatti il gruppo mi accoglie e non mi giudica; nel gruppo vedo rispecchiate le mie stesse emozioni, i miei stessi turbamenti; il gruppo contiene ogni mio eccesso narcisistico, ogni mio delirio di onnipotenza.
E’ la domanda, il domandare, il cuore della nostra andragogia nella pratica marziale: “un laboratorio maieutico è un laboratorio educativo in cui si  valorizzano le esperienze e conoscenze insite in ciascuna persona. Esso favorisce un concepire più cosciente, ampio e profondo…, partendo dal presupposto che… ogni esprimersi dal profondo aiuta ad esplorare… Il coordinatore  di strutture maieutiche cura che l’insieme di tutti sappia comporre quanto ancora è ignoto, ancora inespresso su un problema, risolva un nodo..
Il processo strutturale maieutico è scienza-arte di interpretare e favorire il crescere dal profondo” ( Danilo Dolci ).
Solo così, il praticante diverrà consapevole dei suoi progressi nel combattimento, nello scontro. Progressi che significano tanto esportare tali progressi “guerrieri” mutandoli nella capacità di sostenere attivamente le relazioni, le “occasioni di incontro e scontro” della vita quotidiana in famiglia, sul lavoro, a scuola, quanto  valorizzare le differenze, le frizioni, le contrapposizioni insite in ogni relazione quotidiana facendone una ricchezza, una risorsa e non un ostacolo.
Certamente, al praticante viene chiesto di essere protagonista e non un vaso da riempire. Egli non è un cliente che ha pagato per avere un prodotto; egli è un individuo, in un gruppo e con la guida di un esperto che ha già mosso più di un passo lungo il viaggio, che sì ha pagato per essere in cammino ma starà a lui camminare con le proprie gambe !!
Accostarsi al sapere marziale, ereditarne la ricchezza e farla propria, non è un travaso di nozioni e tecniche. Essere “allievo di …”, “praticante di …” non è una garanzia sufficiente perché il percorso abbia successo. Questi è sia un processo singolare, del tutto estraneo a qualsiasi garanzia di successo, quanto un percorso che ci riporta alla nostra radice inconscia, alle nostre energie profonde e sopite. E’ un agire scoprendo ciò che sempre siamo stati e quanto …. vogliamo conoscerci per accettarci e trasformarci.
Nessun Maestro o Sifu, nessun’Arte o disciplina o sport potrà evitarti l’incertezza ed il pericolo del viaggio, né ti garantirà il risultato: più forte in combattimento, più saggio ed equilibrato, più in salute, più sereno, più assertivo, più coraggioso ed audace nelle scelte di vita, più felice …  
Starà a te che pratichi, col mio, col nostro aiuto, mettere le tue mani dentro di te per mostrarti nella tua nudità abbandonando maschere e ruoli;  per ri – conoscerti adulto guerriero; per decidere chi sei e come intendi agire nel tuo ambiente fuori dalla coazione a ripetere e dalla violenza crudele dell’anaffettività; per essere padrone di te stesso.
Se lo vorrai.

Se una persona fa una distinzione tra luogo pubblico e privato o tra campo di battaglia e tatami, quando arriva il momento di agire si troverà impreparata. Bisogna mantenere costantemente la consapevolezza. Se non ci fossero uomini che dimostrano il proprio valore sul tatami, non potremmo neppure trovarli sul campo di battaglia

(Tsunetomo Yamamoto )






sabato 4 gennaio 2014

Super Natural

Dagli X Men alla genetica, mutazione e selezione.
Da Hulk alle questioni di fisica e chimica.
… e altro ancora

Una settimana a Bassano del Grappa, sotto le montagne austere, dove il fiume Brenta scorre imponente.
Una settimana in cui alterniamo ore di riposo alla visita a Possagno, paese natale di Canova, che ospita, col tempio, un museo e la gipsoteca  ricchi delle sue opere in gesso, “modelli” da cui avrebbero poi preso vita le sue famose statue; sosta d’obbligo alla Libreria Palazzo Roberti a merende per “soli uomini” al Lion d’Oro (Monica aborre quella pasticceria e lascia che siamo noi, io e Lupo, a frequentarla); passeggiate nel caratteristico centro cittadino costellato di palazzi e ville prestigiosi alla visita  alla mostra “Super Natural” in quel di Montebelluna (TV).

 


Occhieggiata da Monica su un cartellone pubblicitario, è stata un’autentica sorpresa.
Un incontro del tutto stupefacente che accosta i poteri straordinari dei super eroi protagonisti di fumetti e pellicole di largo consumo, al mondo animale.
Sono i poteri di questi super eroi a presentare le loro origini “animali”: strategie messe in atto dagli organismi per vincere le sfide ambientali e proseguire la specie, strategie che divengono anche fonti di studio e ricerca per le più moderne scoperte scientifiche e tecnologiche.
Wolverine e Wonder Woman, ovvero i poteri di auto guarigione e rigenerazione, ci portano nel mondo della salamandra messicana, l’Axolotl, ma anche tra chi vive di gemmazione e partogenesi.
Così come Iron Man, con la sua super armatura, ci porta tra le innovazioni tecnologiche più strabilianti in grado di portare le gesta degli atleti a livelli impensabili solo dieci anni fa.
Il tutto anche attraverso la possibilità concreta di sperimentare, con giochi, video e sfide, quanto visto lungo il percorso.
Una mostra che si rivolge a bambini e ragazzi ma che coinvolge, eccome, noi “grandi”: Non ero certo il solo genitore a cimentarmi nei giochi o nelle sfide, ad incantarmi davanti all’acquario con le salamandre o alla tuta che muta con il calore.
Certo, a pensare che simili mostre, simili percorsi interattivi, nei paesi del nord Europa sono quasi la norma, mentre da noi in Italia, ho da scoprirne una siffatta e così coinvolgente in una cittadina di trentamila abitanti persa nella provincia di Treviso ….
Ah, personalmente, da NON VEDERE la mostra “Brain – il cervello”, ospitata a Milano.
Si presenta con contraddizioni palesi tra il pieghevole pubblicitario e quanto, invece, indicato nel sito. Al numero “verde”, nessuna opzioni permette di rispondere ai quesiti organizzativi che volevo porre. La mail spedita all’indirizzo apposito, attende ancora risposta dopo più di un mese.
Recatici, con Palo, Maria ed il piccolo Amos, all’ingresso, ci fanno fare la fila sotto la pioggia battente: ma organizzarsi nell’atrio o predisporre una struttura coperta, no ?!
Una volta entrati … beh, un noioso ripetersi di nozioni sul cervello con possibilità interattive minime e banali. Noiosa, per grandi e piccini. Appunto, Questa sì da NON VEDERE.