lunedì 30 luglio 2012

Olimpiadi ? No grazie !


Giusto per portare un punto di vista diverso da quelli ora in circolazione ...


Ed eccoci al gran circo delle Olimpiadi.
by IKL
Quanti milioni spesi per la cerimonia di apertura ? Milioni che avrebbero potuto essere investiti in azioni più proficue, in questi tempi di crisi, che per inscenare un paio d’ore di spettacolo. Spettacolo tra una regina d’Inghilterra del tutto inebetita ( ma avete visto che espressione intontita mentre sfilavano le delegazioni ?), una Michelle Obama gioiosa e fanciullesca ( qualcuno le spieghi quel che sta succedendo nel mondo intero), regnanti e capi di stato bolsi ed incartapecoriti o dipinti di sorrisi ebeti e di circostanza.
Ecco i nostri atleti e tra questi decine di carabinieri, poliziotti, finanzieri stipendiati, pagati, da noi per passare alcune ore del giorno ( le altre, oziano) a sollevare pesi o tirare di fioretto o di carabina.
Ma io pago perché un carabiniere tuteli l’ordine pubblico non perché si diverta ( e diverta pochi altri, visto il seguito che, fuori dalle Olimpiadi, hanno questi sport ) a sparacchiare  con una carabina o a sguazzare nella neve.
Se questi volesse fare dello sport il suo mestiere, la sua professione, si cerchi un datore di lavoro privato che lo paghi con i suoi soldi, un team di sponsor. Perché lo devo, non volendolo, pagare io con le mie tasse ?
Perché lo Stato preleva forzosamente  dalle mie tasche dei soldi non per la sanità pubblica o per la scuola pubblica, ma per allenare un manipolo di judoka o di sciatori per le loro gare ?
by Eliseo84
Perché mai, in strada, scarseggiano poliziotti e carabinieri ma questi abbondano in palestra ?
Ai tanto vituperati “ricconi” del calcio, lo stipendio, per loro volontà, lo pagano dei privati.
Se proprio volessi “fare le pulci” anche a loro, lo farei alle società private di cui sono i dipendenti perché costruiscano / gestiscano in proprio gli stadi, accollandosi loro l’onere di pagare chi si occupi di tutelare l’ordine e non scaricando sul pubblico le spese per poliziotti e carabinieri.
Mi disgustano le Olimpiadi, circo di atleti professionisti, ovvero non più dilettanti come recita il credo olimpico (1), atleti in buon numero pagati da me, da noi tutti cittadini, per gli anni in cui scoccheranno frecce su un paglione o si strattoneranno su una materassina. Poi, terminati gli anni dell’agonismo, li pagheremo sempre noi per una scrivania in qualche ufficio, sempre che non accedano a qualche professione privata grazie a quell’agonismo pagato da me , da te che mi stai leggendo.
Questo mentre, per strada, carabinieri e poliziotti loro compagni, rischiano ogni giorno la vita per tutelare l’ordine pubblico: quello mio, tuo, di tutti noi.


(1)   Anche prendendo per buone le feroci  critiche al dilettantismo o al pensiero di de Coubertin ( http://www.laportadeltempo.com/Documenti/doc_010804.htm; http://www.treccani.it/enciclopedia/temi-olimpici-dilettantismo-e-professionismo_(Enciclopedia-dello-Sport)/ ) possiamo tranquillamente affermare che gli atleti, indossata la veste del poliziotto, carabiniere, finanziere, sono, “paro paro” la nuova elite  di ricchi che, utilizzando le casse pubbliche, si può permettere di essere mantenuta tutto il giorno per sudare, qualche ora, in palestra o dintorni.



giovedì 26 luglio 2012

Biancaneve e il cacciatore


Tutti al cinema !


Serata piacevole, con  me e Monica c’erano Giuseppe e Donatella: tutti a vedere “Biancaneve e il cacciatore”, la pellicola diretta da Rupert Sanders .
Non un capolavoro del cinema mondiale, ma interessante lo snodarsi della trama, l’intreccio dei personaggi che, come ormai d’uso da decenni, non sono mai del tutto buoni o del tutto cattivi, i paesaggi mozzafiato, le inquadrature ardimentose, le musiche incalzanti, i colori avvolgenti, i rimandi a precedenti pellicole di successo, come “Avatar” o “Alice in wonderland” o la serie televisiva “Il trono di spade”
Finisce il film e, al solito, solo l’unico ad applaudire in una sala praticamente vuota. Poi, chi mi conosce lo sa, io sono un tenerone, magari anche un po’ stupido ?, ed in un paio di scene mi sono commosso ed emozionato, emozionato pure alla scena finale, l’incoronazione di Biancaneve.

Una pizza dal sempre ottimo Spontini e poi tutti a casa.
Finisce qui ?
No perché, nei giorni a seguire, dalle emozioni fuoriescono riflessioni a raffica, considerazioni, domande, come sempre mi succede in ogni mio vivere, laddove le emozioni scorrano libere e pulsanti.

E penso alle fiabe, semplice e profondo  strumento che mette il bambino di fronte ai principali problemi umani (il bisogno di essere amati, la sensazione di inadeguatezza, l’angoscia della separazione, la paura della morte), distribuendo nettamente il bene e il male in determinati personaggi, cosa che la realtà sconfessa ogni giorno proponendoci i mille contradditori micro noi che compongono il “noi” totale. Un modo semplice per arrivare al cuore del bambino e, nel divertimento, proporgli i primi rudimenti di una educazione / formazione emozionale e sentimentale.
Questa identificazione coi personaggi e la partecipazione emotiva alla fiaba sono possibili perché le fiabe parlano il linguaggio della fantasia, che è il linguaggio proprio  del bambino.
Ma Biancaneve, e tutti quelli che le stanno attorno in questa inquietante pellicola, si mostrano e mostrano segni che fanno del fantasy, persino, a tratti, dell’horror, uno strumento per entrare nella vita di noi adulti, nella vita dove non c’è la separatezza infantile del bianco e del nero. Un film per adulti, insomma, dove, però, come per i bambini ed anche per noi adulti ( la pubblicità insegna) sono le emozioni a veicolare scelte e valori.

Nella favola, come nel film che è esplicito in questo senso, è il principio femminile che genera il desiderio: una figlia bianca come la neve, rossa come il sangue e nera come le piume dei corvi. Sono  i colori della trasformazione alchemica: la nigredo, l'albedo e la rubedo.
La storia, comunque reinterpretata, mostra lo sviluppo della coscienza del femminile attraverso la violenza e  la morte, e il conseguente incontro con il principio maschile. Se l’ingenuità del padre di Biancaneve, facile preda della bellezza di Ravenna ( come dice spesso mia madre, ultranovantenne ? ‘”Tira più un pelo di f… che un carro di buoi”) non gioca a favore di noi maschi, ci rifacciamo subito col virile cacciatore ( ben gustato da Monica e Donatella !) e con il senso dell’onore del giovane William.

La nostra cultura e la società inducono a controllare quando non a reprimere emozioni e sentimenti giudicati sconvenienti: è pensiero comune che la madre desideri sempre per la propria figlia ogni bene, ma davvero è sempre e solo così? E' verosimile che ogni donna, nel momento in cui dà alla luce una bambina, abbandoni il suo essere donna? E se nel cuore di mamma, in mezzo a tanto amore si annidasse  anche l’ invidia?   Fatti ,anche recenti, di cronaca nera mi inducono a foschi pensieri.
La pellicola di  Sanders aggira lo scabroso tema: Nella favola di Biancaneve la matrigna, una donna incapace di accettare il tempo che passa, la vecchiaia e tutto quello che essa comporta (come la decadenza del proprio corpo), vive sua figlia come una minaccia. La sua bellezza, la sua fresca femminilità sono una potente e pericolosa concorrente. Nella pellicola, il regista assolve la mamma di Biancaneve facendola morire in un rigido inverno e, pur dipingendo oscuri tratti feroci in Ravenna, “matrigna” sui generis, le dona un passato subìto di violenze e separazioni che nello spettatore si insinuano a giustificare le malefatte della regina. In questo aiutati da una Charlize Theron di incredibile bellezza.

by finalciak.com
Nella favola, la matrigna, posta brutalmente di fronte alla superiore bellezza di Biancaneve, sconvolta dalla gelosia, si rivolge ad un cacciatore, gli ordina di portare la bimba nel bosco e di pugnalarla, riportandole il suo cuore a prova della sua morte. Ma il cacciatore, risparmia la vita a Biancaneve e uccide al suo posto una cerbiatta. L'uomo (che potremmo pensare  una rappresentazione inconscia del padre) ha un comportamento ambivalente: finge di ubbidire alla regina ma, in realtà, non se la sente di uccidere la fanciulla. Nell’interpretazione psicoanalitica,  la gelosia della madre può riaccendersi proprio nel momento in cui il compagno non la rassicura più sull'intoccabilità del suo ruolo esclusivo di compagna e femmina, che non viene minacciato dalla presenza della figlia, per quanto bella e amata possa essere. La matrigna della favola, così come le mamme narcisistiche, cerca di liberarsi della ragazza che percepisce come una rivale.


Nella pellicola, la regina Ravenna agisce altrettanto crudelmente ma qui, con la gioventù e la bellezza, c’è in gioco il potere. Come a dire che, nella società del terzo millennio, il “potere” è il terreno di scontro condiviso da uomini e donne, senza differenza alcuna.
Se così fosse, avremmo dei tratti di parità uomo / donna che potrebbero piacere alle femministe, ma come non pensare anche ad una parità ottenuta su un terreno ambiguo e infido come il “potere” ? Un potere per cui Ravenna non solo agisce crudelmente ed attingendo  alla magia nera ma anche  servendosi di un fratello viscido  ( le mani di lui sul corpo di Biancaneve in cella). Come a dire che se non hai un uomo che ti faccia parte del lavoro “sporco” da sola non ce la fai. E infatti Ravenna affida al cacciatore il compito di scovare Biancaneve in quella foresta dove lei non ha alcun potere. Come a dire che, senza l’uomo “cacciatore”, tu donna non hai alcun potere fuori dalle mura di casa ?

by Flowerzzxu
Se Il cacciatore, la foresta da attraversare, rappresentano  l'iniziazione della fanciulla “innocente”,  lo sviluppo della sessualità,  mi è molto piaciuto vedere il confronto tra l’inutile bacio del bello e bravo e colto e di sangue nobile William, con il triste e passionale bacio del rude Eric: questo sì che funziona e ridà vita a Biancaneve ! Come a dire che, al passo con i tempi, quelli un po’ persi e dannati sono sdoganati dalla cultura odierna ed  hanno la meglio ? Non facciamoci sentire da Fabrizio Corona, da Costantino Vitagliano, pallide e goffe imitazioni attuali del mito dell’eroe perso, burbero e solitario. Eppure è questo che ci passa il “convento”, sociale e televisivo. Che tristezza !!

Interessante, comunque, il tema dello specchio, sotto diversi punti di vista. Per esempio l’ormai diffusa percezione distorta della propria immagine corporea che coinvolge sempre più persone, tanto da indurle a “vedere” difetti dell’aspetto risibili o del tutto immaginari. Diffusione che, sempre più, sfocia in vere e proprie malattie, quali l’anoressia nervosa. (“Nel corpo sbagliato” di C. Arnold, in “Mente & Cervello”  Luglio 2012)
Il tema dello specchio evoca anche la ricerca dell'assoluto, della verità e della perfezione illusoria poiché vissuta unilateralmente, senza altro confronto che non sia con se stessi; in questo senso rimanda all'immagine e al suo doppio e al significato dell'uscita dalla dualità per entrare nel conflitto della triangolarità e della morte.
L'immagine dello specchio, secondo diversi autori, rinvia  sempre a sé e rappresenta il rischio di restare impantanati  nella sfera narcisistica. Questa, al  femminile, coincide con il legame materno dove esso non permette alcuno  spazio vitale, pena appunto, il confliggere violento  con la madre e la non rispondenza idilliaca, in questa fiaba rappresentata dalla prima madre ( sempre buona), che non a caso deve uscire di scena, cioè morire.

Mi piacerebbe scrivere ancora:
-       Del perché, per essere sette, i nani debbano veder morire uno di loro già alle prime battute.
-       Di quanto la fissazione di ingoiare resti umani propria della regina Ravenna rimandi al carattere “orale”, sia in termini di incorporazione ( di cui la mitologia, ma anche le storie dei popoli, dai pellerossa ai guerrieri Berserker, è piena) ovvero il desiderio di prendere su di sé il potere dell’altro, sia in termini psicologici  “Questi tratti rimandano a una situazione infantile di insoddisfazione e rappresentano un certo grado di fissazione ai primi stadi dello sviluppo”. (A. Lowen “Bioenergetica”).
-       Della figura, in chiave di archetipi junghiani, di Biancaneve  amazzone/guerriera.  Un tratto che, nei suoi aspetti deleteri,  andrà ad esigere  sempre più attenzione su di sé. Essa  sobilla  gli uomini con accanimento sia perché, frustrata nelle proprie ambizioni, le ha proiettate su un certo uomo o sugli uomini in generale, sia perché non è riuscita a sviluppare altri importanti aspetti della sua femminilità. Come a dire, da maschiaccio quale sono: Mooolto più appetibile ( ma la parole che ho pensato è un’altra) la femmina Ravenna  dell’insipida e “perfettina” Biancaneve.
by PiccolaRia

È possibile che una giovane che ha subìto una madre / matrigna opprimente e gelosa lo diventi a sua volta, con le proprie figlie? Certamente. Così, all’insegna del motto "Non voglio assolutamente assomigliare a mia madre!" le donne che cercano ostinatamente di differenziarsi dalla loro madre, spesso sono quelle che paradossalmente le assomigliano, sia fisicamente che psicologicamente. Si sforzano di dare, divenute madri a loro volta, alla propria figlia tutto ciò che non hanno avuto nel rapporto con la propria madre, sprofondando nell'eccesso opposto. Queste neo madri, quando hanno sofferto di mancanza di affetto, tendono a dare alla figlia ciò di cui esse stesse hanno bisogno ma non quello di cui ha davvero bisogno la figlia. Più la figlia rifiuta queste sproporzionate attenzioni, più la madre gliene offre, rendendo malsano il loro rapporto.
Sarà anche questo il caso della nostra Biancaneve ? Per saperlo, dovremo attendere il sequel.






martedì 24 luglio 2012

Cena Sociale 2012




“Tu vedi un blocco, pensa all’immagine: l’immagine è dentro. Basta solo spogliarla”
(M. Buonarroti)


La vita di ogni individuo è scandita, sin dall’infanzia, da una serie di scelte . Scelte volontarie o no, autodecise o subite.  Scegliere, nel contempo, significa necessariamente rinunciare. Rinunciare a qualcosa d’altro o, nel caso di scelte “non scelte”, ovvero imposte da altri, rinunciare a confliggere per opporsi alle scelte “imposte”.
Scegliere è anche, nel momento della scelta, ricomporre le diverse parti che concorrono a  formare l’individuo per prendere una decisione condivisa da tutte queste “micro” parti o, in alternativa, accettare che una parte si assuma la responsabilità della decisione, consapevole che le altre “micro” parti, prima o poi, avranno da ridire su quella scelta.
Sappiamo poi che non solo siamo una miscela  di elementi disparati, ma tutti gli altri individui, nel rapportarsi a noi, proiettano su di noi una serie di immagini, ci vedono e ci sentono in modi diversi da quelli che siamo e che contrastano con noi e tra loro.
Quindi, diventa fondamentale per l’individuo il “qui ed ora”: l’attenzione vigile verso quel che fa e come lo fa.
La consapevolezza di ciò che accade intorno a noi prevede necessariamente un buon grado di consapevolezza di noi stessi, soprattutto nel saper riconoscere rapidamente quando e come le nostre emozioni e i nostri desideri compongano  le nostre facoltà percettive. Da Freud alle attuali ricerche in ambito neuroscientifico, ormai è consolidata l’importanza del registro emozionale ,dell’inconscio, nel nostro scegliere ed agire.
Da ciò discende, per un individuo che voglia dirsi adulto autodiretto, non solo sapere quel che non fa facendo una cosa e non l’altra, ma anche agire, in quel che fa,  con un’attenzione ed una partecipazione convinta e non per abitudine. Ovvero porsi sempre delle domande.

Come già scritto più volte, le quattro domande fondanti un qualsiasi agire consapevole e autodiretto, sono:
“Cosa sto facendo ? “
 “Cosa provo nel fare ?”
“Cosa sto  evitando?”
“Cosa mi aspetto da quel che sto facendo?”

Tutto questo, sempre più spesso, non da solo ma in un gruppo; gruppo che … si è liberamente scelto oppure no !!.
Per quanto concerne la nostra Scuola, il nostro praticare “formazione marziale”, voglio pensarla così: “Ci sono cinque qualità fondamentali che fanno grande una squadra: comunicazione, fiducia, responsabilità collettiva, attenzione e orgoglio. Mi piace pensare ad ognuna di esse come ad un singolo dito di un pugno. Ognuno singolarmente è importante. Ma tutti insieme sono imbattibili”. (A. Krzyewski: “Le stategie di coach K.”)

Questo, una volta lasciata passare l’onda forte delle mozioni, del cuore pulsante e dei sorrisi larghi, dello star bene e del condividere tra amici e ricercatori di sé, è quanto ho pensato dopo la nostra cena sociale.


“Per poter essere un vincente, devi trovare il modo di riuscire a fare le cose e non una scusa per non farle. La gente che campa di scuse ha sempre cose in sospeso che non possono essere terminate”. (A. Krzyewski: “Le strategie di coach K.”)

















mercoledì 11 luglio 2012

Il cuneo lungo / corto


by maxdesenhista

La forza nel gomito deve essere grande, allora non temerai alcun attacco
Jahng Dai Lick Yiu Hoang But Pa Yum Yan Goang


una breve clip dimostrativa del nostro Wing Chun Boxing.
In particolare, alcuni aspetti del cuneo (lungo e corto).

Come ogni Arte Marziale Tradizionale, ovvero votata all’efficacia ed efficienza in combattimento, il Wing Chun si ispira all’area istintiva ed istintuale, a ciò che immediatamente scatta in chi subisca un’aggressione. Per come intendiamo noi l’Arte ( e con tutto il rispetto,  ma anche i distinguo, da chi la interpreti diversamente) si tratta di lavorare sui sintomi del malessere e sulle tentate soluzioni ( lo spavento di fronte ad un aggressore ,l’alzare le spalle, il fermare il respiro, il distendere rigidamente gli arti superiori o il fletterli in una posizione fetale, ecc.)  per superarlo. Ovvero, lo scopo del praticare è consentire di riavere accesso alle proprie risorse inconsce. Questo presuppone che nell’inconscio degli individui esista la capacità di far fronte ai problemi che essi hanno e che il compito del ”conduttore”, attraverso la pratica marziale, sia riportare alla luce queste risorse.
Tutto ciò, come scritto da me più volte, in un’ottica in cui lo scontro fisicoemotivo sia solo un’area di formazione per imparare ad affrontare gli scontri / le conflittualità quotidiane nelle relazioni con i figli, con il / la partner, al lavoro, con gli amici e … con se stesso ! Dunque il “fare a pugni” come metafora e metonimia di quel che viviamo fuori dal Dojo.
Non credo assolutamente a questa isterica propaganda per cui ad ogni angolo ci sarebbe un bruto pronto ad assalirci. 
Non credo che le paure di ognuno si possano affrontare e risolvere “insegnando” a menare le mani.
Il praticare AM, per me, è terapia per affrontare  le proprie zone buie, le parti Ombra; per conoscere e gestire le pulsioni più profonde; per divenire adulto consapevole ed autodiretto in ogni ambito del proprio vivere, per scrollarsi di dosso copioni imposti, ruoli imposti.
Percorso arduo, doloroso, ma vero percorso guerriero ( colui che sa stare nei conflitti), di conoscenza.
Ad altri, il praticare AM o simili
-       come sfogatoio, dunque come fuga, come allontanamento da sé e da quel che di sé non si vuole ammettere o riconoscere: mi sfogo, tra sudate e cazzotti, poi … ritorno al mio spiacevole  e modesto ( altrimenti non avrei bisogno di sfogarmi), tran tran quotidiano.
-       come ginnastica, per farsi un fisico simil modello gay di Dolce & Gabbana ( lubrico estetico) o simil forzuto pompato ( una “corazza” che impressioni l’altro, scoraggiandolo dall’aggredirmi e, nel contempo, una “corazza” per coprire le mie debolezze ?)
-       come memorizzazione di tecniche e sequenze, per ciò stesso convinto di diventare saggi e semi invincibili.

Come ogni Arte Marziale Tradizionale, il Wing Chun ha influenzato ed è stato influenzato, da altre Arti votate al combattere: ogni individuo, giapponese, cinese, filippino, italiano, ha due gambe e due braccia !!
Dunque, personalmente credo che il cuneo, in tutti suoi aspetti, sia presente, variamente interpretato, in diverse Arti Marziali. Come già detto, prendete un praticante di kenjutsu, toglietegli il katana, e … avrete la stessa impostazione “classica” di braccia di un Wing Chun man.

In particolare, per quanto concerne il cuneo corto, parente stretto è il Silat. Secondo alcuni, anzi, fu il Silat, data l’anzianità a lui attribuita, ad avere per primo “codificato” il lavoro di “cuneo corto”.


Proprio perché il “cuneo corto” nasce da un gesto istintivo di protezione ( su cui intervenire perché si trasformi da reazione di paura / difesa in azione, ovvero porti il praticante da una situazione down ad una up), esso è variamente interpretato in molte pratiche contemporanee di difesa personale / scontro fisico.

Urban combatives, la creatura di Lee Morrison. Morrison è stato praticante di diverse Arti, compreso arti del sud est dell’Asia e deve molto del suo background a Geoff Thompson, un esperto di scontri da strada ( ex buttafuori di locali notturni, nonché, 6° dan di Karate)

Boxe de rue, la creatura di Robert Paturel. Questi è un ex praticante di Savate ( 103 combattimenti all’attivo), la boxe diffusasi tra i porti ed i quartieri malfamati della Francia, agli inizi dell’800, lì importata da marinai che avevano conosciuto le Arti Marziali d’Oriente.

Keysi, la creatura di Justo Dieguez  ed Andy Norman. Entrambi allievi del mitico Dan Inosanto ( già allievo di Bruce Lee, esperto di diverse arti del sud est asiatico e, tra queste ,proprio il silat), ed istruttori da lui certificati, hanno dato vita a questa espressione di combattimento da strada.

Ah, ovviamente, esso è presente in diverse espressioni del Wing Chun e delle su evoluzioni.
Per es. qui, dove assume i connotati di un tan sao alto


by Misa - Chan
Questa, che potete vedere cliccando sul “televisore”, è la nostra interpretazione by Wing Chun, l’antica arte di combattimento che, fonti autorevoli, dicono sia nata all’interno del tempio di Shaolin. Da lì, prendendo strade e forme diverse per tutto il mondo.




lunedì 2 luglio 2012

Piccolo cuore


“L’uomo antico parlava ad un universo che gli rispondeva. La scienza pretende oggi che l’universo sia vuoto e muto”
(Hubert Reeves, direttore delle ricerche al CNRS e all’Istituto di Astrofisica)

Nella vetrina, spiccava. Forte, bello. A Tratti, inquietante.
Lupo, mio figlio, col naso incollato al vetro, gesticolava, mi diceva che sì, era proprio quello il negozio, ed intanto indicava un enorme T rex. Dietro di lui, si stagliava una mantide religiosa bellissima ,affascinante.
Ma io avevo occhi solo per lui: quel bellissimo pitone dagli occhi verdi.
Giorni dopo, nella pausa pranzo di un convegno, sono tornato al negozio e l’ho acquistato.
Il pitone arrotolato nel sacchetto, Monica che non mostrava di gradirlo un gran che, complice anche la mia capacità di sporcami quando mangio il gelato, anche se poi un sorriso le è apparso sulle labbra.
Sì, a volte ( spesso ?) sono proprio un bambino. Forse un idiota, con i miei sessant’anni, la macchia di gelato ad insozzare una maglietta rock – fantasy ( toh, pure lì, ritratti dei serpenti ad incorniciare un ambiguo volto di donna) certamente adatta per un teen ager ma fuori luogo su un panzutello sessantenne. Un idiota che, per casa e non solo, “stona” vecchi pezzi rock, si incanta ad ammirare le rotondità femminili che la calda stagione offre generosamente, ricalca e reitera lallazioni ed ecolalie incurante dello sguardo dei passanti, tiene sul comodino un brutale coltello “fighter”, si emoziona, fino alle lacrime, per una luna rossastra che buca la notte come per un cartone animato nei momenti più epici. Un idiota sessantenne bambino, che si compera un pitone in lattice.
Sarà così, ma che soddisfazione portare “Piccolo Cuore” ( il nome glielo dato così, all’improvviso) in Dojo. Nel luogo del mio percorso, del mio cercare ed offrire la mia ricerca a tutti quelli che, per un anno o per decenni, vogliono condividerla.
L’Arte dell’essere presente “qui ed ora”, unica in grado di espandere la sensibilità cinestetica perché senta e registri come il corpo agisce e si muove.
L’Arte della sorpresa e dell’imprevedibilità, che richiede l’allontanamento paradossale dalla comprensione. Ciò che io capisco mi conduce inevitabilmente ad una successiva comprensione, ad un futuro immaginato prevedibile; invece, per come io intendo l'Arte Marziale, essa accetta volentieri la conduzione senza comprensione razionale: la pratica del paradosso, del koan zen fisicoemotivo, del “prestige”.
L’Arte del chiedersi sempre chi sono, cosa faccio e come mi relazione con gli altri.
L’arte sinuosa, forte, evocatrice di archetipi oscuri, tutta “reni”, del colore nero e dell’emozione della paura, del richiamo alle origini dell’uomo, allo stadio di rettile, evocatrice della  profondità, del male oscuro, di ciò che è torbido, del mistero e della notte: come un serpente, appunto.
Ed è con gioia che lascio a Lupo e ad Angelica la scelta di dove e come posizionare “Piccolo cuore” in Dojo. Ora è là, a strisciare e mostrarsi sulle scale rosse della pedana.
Benvenuto tra noi, animale potente.


Ormai siamo anziani, è un dato di fatto.

Nonostante ci ostiniamo a indossare felpe consunte al posto di folgoranti golfini col collo a V sopra improbabili camice a righe, ci sono diversi, inconfutabili segni che ci ricordano con solenne severità che ormai siamo entrati a far parte degli anziani.

Alcuni di questi segni, sono:

• Sempre più spesso, dopo abbuffate clamorose, degne d’un condannato a morte, passiamo sudate e insonni nottate a ruttare contro la Regina Coeli, che non ha saputo trattenerci dall’indugiare nei piaceri della gola.
• A primavera, le prime canottiere e le prime minigonne ci provocano più o meno gli stessi effetti delle abbuffate di cui sopra.
• La musica ad alto volume ci dà fastidio, soprattutto se musica del cazzo… non come quella che sentivamo noi, ai nostri tempi. Col risultato che ascoltiamo da anni sempre gli stessi gruppi, a rotazione.
• Non siamo su Facebook. E non per snobismo, ma semplicemente perché non ce ne importa una sega e, cosa non secondaria, non ci capiamo un cazzo. Lo stesso dicasi per I-Phone e derivati.
• Siamo diventati insofferenti e intransigenti. Se una cosa non ci piace, deve andare in culo. Abbiamo concesso abbastanza tempo, energie ed attenzione a minchiate inutili. Ora che il tempo, le energie e l’attenzione cominciano a scarseggiare, pretendiamo di sfruttarle al meglio.
• Siamo cinicamente disillusi. Questo non vuol dire che non crediamo più a niente, vuol dire che mal sopportiamo tante di quelle cose che solo qualche anno fa, al contrario, apprezzavamo.
( da “donzauker.it" )